La tutela dell’ambiente e il reato di disastro ambientale

Il prossimo 5 giugno è la giornata mondiale dell’ambiente, il cui tema quest’anno sarà il “Ripristino degli ecosistemi”: l’obiettivo, dunque, è quello di prevenire i danni inflitti agli ecosistemi del pianeta e di interrompere lo sfruttamento della natura per promuoverne la guarigione.

Questa data è stata scelta perché il 5 giugno 1972, durante la conferenza di Stoccolma sull’ambiente umano, ha preso forma il progetto dell’Onu con cui gran parte degli stati membri delle Nazioni Unite, le agenzie specializzate ONU ed altre organizzazioni internazionali si sono posti l’obiettivo di tutelare l’ambiente.

In Italia, il 26 febbraio scorso è nato ufficialmente il Ministero della Transizione ecologica (cosiddetto “MiTE”), che ha sostituito il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, e che si pone l’obiettivo di:

  • tutelare la biodiversità, gli ecosistemi ed il patrimonio marino-costiero nonché salvaguardare il territorio e le acque,
  • attuare politiche di contrasto al cambiamento climatico e al surriscaldamento globale, realizzando programmi di collaborazione bilaterale specialmente con i paesi maggiormente vulnerabili ed esposti ai rischi dei cambiamenti climatici,
  • garantire uno sviluppo sostenibile, mirando all’efficienza energetica ed all’economia circolare, gestendo in maniera integrata il ciclo dei rifiuti e promuovendo la bonifica dei siti d’interesse nazionale,
  • valutare l’impatto ambientale delle opere strategiche, ponendo l’obiettivo di contrastare l’inquinamento atmosferico-acustico-elettromagnetico e di ridurre i rischi che derivano da prodotti chimici e organismi geneticamente modificati.

Grazie al contributo delle numerosissime campagne di sensibilizzazione (prima tra tutte, quella promossa da Greta Thumberg che ha fondato il movimento Fridays For Future che, anche in Italia, svolge un ruolo da protagonista su questi temi), i tempi sono maturi per completare anche la disciplina costituzionale relativa alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

Infatti, questi principi rappresentano una priorità per la società italiana nell’ambito delle sfide globali e, dunque, devono sicuramente essere disciplinati in maniera organica pure nella Costituzione, dove attualmente all’art. 9 si legge soltanto un breve riferimento alla «tutela del paesaggio».

Per tale motivo, è stato proposto un disegno di legge che prevede la modifica del citato art. 9 Cost. al quale verrebbe aggiunto il terzo comma del seguente tenore: «La Repubblica tutela l’ambiente e l’ecosistema, protegge le biodiversità e gli animali, promuove lo sviluppo sostenibile, anche nell’interesse delle future generazioni». Avv. Claudia Piroddu, Penalista • Avv. Viola Zuddas, Civilista

Questa modifica, se accolta, consentirebbe di tutelare in maniera più stringente l’ambiente e tutti gli esseri viventi che lo compongono, partendo dal concetto di “sviluppo sostenibile” che rappresenta un elemento indispensabile per l’affermazione e lo sviluppo di nuove tecniche produttive nel rispetto delle risorse naturali disponibili.

Ad ogni modo, nonostante, ad oggi, non venga espressamente menzionato tra i principi fondamentali della Costituzione, l’ “ambiente” è considerato un bene giuridico di valore costituzionale primario e assoluto.

Ciò è possibile attuando il richiamo, da un lato, alla tutela del paesaggio di cui all’art. 9, nella quale viene ricompresa sia la tutela ecologica e l’interesse alla conservazione dell’ambiente naturale, e, dall’altro lato, alla tutela della salute prevista nell’art. 32, ove viene collocata anche la salvaguardia dell’ambiente in cui vive l’uomo.

A garanzia della tutela dell’ambiente, l’ordinamento italiano prevede diversi illeciti sia di natura amministrativa che penale, contenuti principalmente nel Testo Unico Ambientale (D. Lgs. n. 152/2006), nonché nel codice penale.

Proprio nell’ottica di consentire una maggiore protezione dei beni naturali e della salute, con la Legge n. 68/2015 si è proceduto ad una vera e propria riforma dei reati ambientali, che pone al centro la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi in quanto tali.

L’intervento normativo in parola è culminato con l’introduzione del Titolo VI-bis del codice penale, che prevede numerose fattispecie che vanno dal reato di inquinamento ambientale, all’associazione per delinquere nei reati ambientali, nonché all’ipotesi a lungo controversa di disastro ambientale.

A tale riguardo, proprio qualche giorno fa, la Corte di Assise di Taranto, con una sentenza da molti considerata “storica”, ha condannato a pene severissime i vertici amministrativi della più grande acciaieria d’Europa, l’ EX ILVA, per il reato di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale.

Secondo i giudici di primo grado, negli anni, il noto stabilimento siderurgico avrebbe realizzato il massiccio sversamento nell’aria di sostanze nocive per la salute e per l’ambiente, cagionando malattie e morte soprattutto nella popolazione residente nei quartieri in cui sorge e tutt’ora opera l’azienda, oltre che l’avvelenamento di bestiame e prodotti alimentari.

Il reato di “disastro ambientale”

Una delle principali novità introdotte con la riforma dei reati ambientali è costituita dal delitto di disastro ambientale, disciplinato nell’art. 452 quater c.p., che punisce con la reclusione da cinque a quindici anni chiunque cagiona abusivamente un disastro ambientale ponendo in essere, alternativamente, una delle ipotesi descritte dalla norma, ovvero:

1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema;
2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;
3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.

Nell’ultimo comma è prevista una circostanza aggravante che ricorre nell’ipotesi in cui il disastro venga prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico-artistico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette.

Al fine di rafforzare la tutela del bene “ambiente”, per condotta “abusiva” deve intendersi non soltanto quella perpetrata in assenza delle prescritte autorizzazioni o in presenza di autorizzazioni illegittime o non commisurate al tipo di attività esercitata, ma altresì quelle poste in essere in violazione di leggi statali o regionali e di prescrizioni amministrative.

La portata della riforma è senza dubbio molto significativa.

Infatti, prima delle modifiche, tali eventi venivano ricondotti unicamente nella fattispecie generale del cd. disastro innominato, di cui all’art. 434 c.p., posto a tutela della sola incolumità pubblica, non potendosi prescindere dal danno o dalla messa in pericolo delle persone.

L’attuale reato di disastro ambientale garantisce, invece, la tutela diretta dell’integrità dell’ambiente, in una prospettiva ecocentrica.

La norma, tuttavia, punisce indirettamente anche le conseguenze che la condotta lesiva dell’ecosistema produce nei confronti dell’incolumità pubblica, poiché –ed è questo il cuore della riforma- il Legislatore ha voluto dare attuazione al principio secondo il quale la tutela della vita e dell’integrità fisica muove sempre dalla tutela preliminare della salubrità dell’ambiente (Cass. pen., sez. III, 3 luglio 2018, n. 29901). Avv. Claudia Piroddu, Penalista • Avv. Viola Zuddas, Civilista

Oltre all’ampliamento delle condotte punibili poste in essere sia da privati che dagli enti e all’inasprimento delle pene, come efficacia deterrente e in funzione preventiva, giova segnalare che, proprio nell’ottica del ripristino degli ecosistemi, il codice penale prevede nell’art. 452 decies un trattamento sanzionatorio più favorevole nel caso del cd. ravvedimento operoso.

Tale ipotesi ricorre qualora l’autore del reato ambientale si adoperi per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, provveda concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e ove possibile al ripristino dello stato dei luoghi.

Ad ogni modo, partendo dal presupposto che tutelare l’ambiente significa tutelare l’uomo, lo strumento repressivo non può da solo risolvere le innumerevoli problematiche connesse alla tematica ambientale.

È necessario, piuttosto, che vengano adottate al più presto politiche volte a promuovere lo sviluppo sostenibile, che consenta “alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”, in modo tale che la crescita economica, la coesione sociale e la tutela dell’ambiente vadano di pari passo.

Claudia PirodduViola Zuddas, Avvocati

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