Si sa, la scelta del fotografo è uno degli aspetti più importanti legati all’organizzazione del matrimonio perché avere un bel servizio fotografico, unico e personalizzato, consente agli sposi di ricordare nel tempo le emozioni vissute nel loro giorno speciale. 

Per questo motivo, la scelta del fotografo avviene sempre con grande cura e con diversi mesi d’anticipo in modo tale da poter concordare, per tempo, non solo lo stile fotografico da dare al reportage del matrimonio ma, anche, il budget da destinarvi. 

Quest’ultimo, infatti, può variare in relazione alla complessità del servizio fotografico ed alle prestazioni ulteriori che gli sposi possono eventualmente scegliere per immortalare i momenti più importanti della giornata. 

Ma cosa accade se il fotografo, dopo aver immortalato ogni dettaglio della preparazione degli sposi, della cerimonia e della festa, non consegna loro il servizio fotografico? 

La risposta a questo interrogativo ci viene fornita dalla Corte di Cassazione che, pronunciatasi in numerosi casi simili a quello descritto, ha chiarito che gli sposi hanno diritto al risarcimento del danno patrimoniale derivato dall’inadempimento del fotografo. 

Difatti, quest’ultimo e gli sposi sono legati da un contratto in forza del quale, a fronte del pagamento del corrispettivo concordato, il fotografo deve consegnare alla coppia il reportage fotografico ed ogni altro servizio che abbiano in precedenza concordato.  

Ebbene, è evidente che la mancata consegna delle fotografie del matrimonio rappresenta un grave inadempimento da parte del fotografo poiché è venuta meno la sua prestazione principale scaturita dal contratto. 

Per tale motivo, gli sposi hanno diritto ad ottenere il risarcimento del danno di natura economico – patrimoniale ingiustamente patito, rappresentato dalla somma corrisposta in favore del fotografo, il quale, non avendo adempiuto alle proprie obbligazioni, sarà tenuto a restituire quanto percepito. 

Ma gli sposi hanno diritto ad ottenere anche il risarcimento del danno non patrimoniale, cioè di quel danno rappresentato da un pregiudizio che non ha carattere economico ma incide su altri aspetti comunque rilevanti che attengono alla sfera personale del singolo?

Per rispondere a questo interrogativo, bisogna anzitutto chiarire che la mancata consegna del servizio fotografico incide negativamente sulla sfera personale degli sposi, poiché impedisce loro di rivivere nel tempo le emozioni del matrimonio attraverso il reportage e gli eventuali altri servizi concordati in precedenza con il fotografo. 

D’altronde, il matrimonio è un evento non ripetibile che riveste notevole rilevanza per la coppia e, pertanto, la mancata consegna delle foto del matrimonio potrebbe costituire effettivamente una lesione di grave importanza di quello che viene spesso definito come “il diritto alla memoria” o “al ricordo”, che rappresenta una componente del diritto all’identità personale riconosciuto dall’art. 2 Cost.

Ma questo pregiudizio potrebbe addirittura essere qualificato giuridicamente come danno morale ed esistenziale, meritevole di risarcimento?

La Corte di Cassazione, pur non negando l’importanza che le nozze rivestono per gli sposi, ha risposto negativamente alla predetta domanda ed ha chiarito che il danno subito può sì creare dei turbamenti d’animo ma non assurge ad una gravità tale da incidere su interessi di rango costituzionale, giuridicamente tutelati. 

Deve, infatti, escludersi che il diritto di ricordare il giorno del proprio matrimonio attraverso il servizio fotografico costituisca, di per sé, un diritto fondamentale della persona costituzionalmente riconosciuto e, pertanto, la sua violazione non è fonte di un obbligo risarcitorio in relazione al profilo non patrimoniale. 

Sul punto, è utile precisare che il danno non patrimoniale è risarcibile solo quando sia stato leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla Costituzione o qualora ricorrano i casi espressamente previsti dalla legge. 

Nello specifico, e semplificando, devono sussistere i seguenti presupposti:  

  • l’interesse leso deve avere importanza costituzionale, ovvero deve trovare ingresso direttamente o indirettamente nella Costituzione, la quale ne impone apposita tutela, 
  • il danno non deve essere futile, ovvero non deve arrecare semplici disagi o fastidi, i quali non assurgono al rango di diritti giuridicamente rilevanti, 
  • la lesione dell’interesse deve essere grave, ovvero l’offesa deve superare una soglia minima di tollerabilità. 

Caratteristiche, quelle appena indicate, che non sussistono nell’ipotesi analizzata poiché è pur vero che il giorno delle nozze è sicuramente molto importante per gli sposi e la mancata consegna del servizio fotografico può comprensibilmente causare un turbamento d’animo negli stessi; tuttavia, il danno lamentato non presenta una gravità tale da incidere su interessi di rango costituzionale poiché il dritto a ricordare il giorno del matrimonio mediante il servizio fotografico non costituisce, di per sé, un diritto fondamentale della persona. 

Per tale motivo, gli sposi hanno diritto ad ottenere il risarcimento del danno economico – patrimoniale ingiustamente patito ma non anche quello di natura non patrimoniale poiché il pregiudizio sofferto non assurge a danno morale o esistenziale, costituzionalmente rilevante.

Avvocato Viola Zuddas

Il termine “sharenting” è il frutto dell’unione delle parole “to share” (condividere) e “parenting” (genitorialità) e con esso si fa riferimento al fenomeno, sempre più diffuso, della condivisione sui social di immagini e video che ritraggono minori.

Difatti, oramai è consuetudine che genitori e parenti condividano sui vari social contenuti raffiguranti soggetti minorenni, anche in tenerissima età, e che di conseguenza quest’ultimi già a pochi mesi dalla nascita abbiano una vera e propria identità digitale.

Tutto ciò non poteva e non può che essere oggetto di attento studio e analisi da parte dell’antropologia e della pedagogia, nonché del diritto.

Un recente studio condotto dall’università dell’Indiana ha appurato che il 92% dei bambini e delle bambine che vivono in America già all’età di 2 anni si ritrovano (ovviamente a loro insaputa) ad avere un’identità digitale creata da terzi (solitamente genitori e parenti).Avv. Francesco Sanna, Civilista e Tributarista

Stante la relativa novità del tema – in questi ultimi anni in continua crescita esponenziale – gli studiosi delle scienze umanistiche non hanno ancora certezze in ordine alla natura, entità e gravità delle possibili ripercussioni che tale fenomeno possa avere sullo sviluppo e sulla crescita dei minori. Tuttavia, tutti sono concordi nel ritenere che il ritrovarsi con una vita “già raccontata” (per giunta da altri, senza esserne coscienti e senza possedere ancora un vero senso del proprio io) è determinante nello sviluppo della personalità e della psiche del soggetto, il quale dovrebbe avere la possibilità/diritto di iniziare a formarsi e farsi conoscere all’esterno in modo autonomo sin dalla nascita fino ad arrivare all’adolescenza e poi all’età della maturità.

Ancora, si ritiene che – benché ogni caso sia unico e specifico – le conseguenze negative che subirà il bambino saranno tanto maggiori quanto più i contenuti e le immagini, date letteralmente in pasto al mondo sconfinato di internet, saranno percepiti da questo come distanti dalla reale percezione che questi ha di sé.Avv. Francesco Sanna, Civilista e Tributarista

In buona sostanza, il soggetto potrebbe dover convivere suo malgrado con una “propria” identità creata da altri per lui su internet ed un’altra diversa (quella vera di tutti giorni) che lui vive e sente come propria; il tutto con le conseguenze che ben si possono immaginare dal punto di vista psicologico e di formazione della personalità.

Il caso affrontato dal Tribunale di Rieti con la sentenza n. 443 del 17 ottobre 2022

In generale quando si affronta il fenomeno della sovraesposizione è bene rammentare che le questioni giuridiche che vengono sollevate sono diverse e trasversali, spaziando dalla violazione della privacy e della riservatezza dei dati personali, alla tutela dell’immagine del bambino/a, al rischio di creazione di contenuti idonei alla proliferazione di ambienti pedopornografici, alla problematica dello sfruttamento del lavoro minorile, ecc.

Le leggi nazionali e sovranazionali tutelano il diritto del minore alla propria immagine e identità, pretendendo che la pubblicazione di foto e video dei minori di 14 anni possa avvenire solo con il consenso di entrambi i genitori, poiché l’attività di diffusione dell’immagine non è ritenuta un atto di ordinaria amministrazione (che può essere quindi compiuto senza confrontarsi con l’altro genitore) ma al contrario necessita del comune accordo.

Per quanto concerne la diffusione di immagini di persone maggiori di 14 anni è necessario il loro consenso. Tant’è che il tribunale di Chieti (sentenza n. 403/2020) ha formalmente diffidato una coppia di genitori che pubblicavano sui social foto del figlio senza il suo consenso.

Ma cosa accade se a diffondere le immagini di un minore è un parente diverso dai genitori?

Nel caso sottoposto all’attenzione del tribunale di Rieti a divulgare fotografie e video su facebook di due bambini era stata la zia.

Nello specifico, il padre di due gemelli aveva citato in giudizio la cognata perché questa aveva pubblicato svariate immagini dei figli senza il suo consenso e nonostante le sue richieste di non diffondere più alcun contenuto che ritraeva la sua famiglia.

Difatti, la donna aveva pubblicato un video e ben 52 fotografie dei nipoti, oltre a 7 fotografie del cognato. In quest’ultimo caso le foto erano state pubblicate sia dalla donna che da un suo amico, con tanto di tag che permetteva di risalire all’identità dei soggetti ritratti.Avv. Francesco Sanna, Civilista e Tributarista

Dopo le lamentele dell’uomo, la donna aveva rimosso le di lui fotografie e il tag ma aveva continuato a pubblicare quelle dei nipoti.

In particolare, secondo il giudicante la condotta posta in essere dalla zia dei gemelli era ancor più grave perché questa aveva diffuso immagini dei minori da soli, in primo piano e in costume da bagno; il tutto per di più con un profilo impostato in modalità pubblica.

Quest’ultima circostanza – che rendeva i contenuti visibili a tutti – in aggiunta alla durata dell’esposizione (fotografie caricate online da circa 5 anni) sono state ritenute dai giudici particolarmente gravi, convincendo gli stessi a condannare la signora ad un risarcimento pari a 5mila euro in favore del padre dei bambini.

La normativa di riferimento posta alla base della decisione de qua è il diritto costituzionalmente garantito all’immagine e alla riservatezza della persona (art. 2 Cost.), che nel caso dei bambini gode di una tutela privilegiata (L. 176/1991 ratifica Convenzione di New York sui diritti del fanciullo), l’articolo 10 del codice civile ed infine il Regolamento Europeo sulla Privacy, il quale dispone che: <<I minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali (…)>>.

Avv. Francesco Sanna

Nei giorni scorsi, la giornalista Selvaggia Lucarelli ha condotto un’interessante inchiesta sull’iniziativa promossa da Balocco e dall’imprenditrice Chiara Ferragni che, nelle precedenti settimane, hanno pubblicizzato l’ingresso nel mercato natalizio del pandoro dell’azienda dolciaria griffato Chiara Ferragni. 

Dalla nota pubblicata sul sito dall’azienda e dal post caricato su instagram dall’imprenditrice parrebbe evincersi che la vendita del pandoro sarebbe finalizzata a sostenere un importante progetto di ricerca condotto dall’ospedale Regina Margherita di Torino e che, quindi, parte del ricavato dovrebbe essere devoluto a favore delle cure terapeutiche per i bambini affetti da osteosarcoma e sarcoma di Ewing. 

Tuttavia, come riportato da Lucarelli sui propri canali social e su Domani, quotidiano di informazione su cui scrive, quella che è stata presentata come un’iniziativa benefica è, in realtà, un’operazione commerciale slegata dall’intento dichiarato, tant’è che Balocco avrebbe già effettuato una donazione in favore dell’ospedale a prescindere dalla quantità di pandori venduti. 

Infatti Lucarelli, nell’analizzare la descrizione del post dell’imprenditrice, ha messo in evidenza la presenza – tra gli altri – dell’hasthag “adv” che indica che il contenuto è sponsorizzato, ossia che ha finalità commerciale. 

Ebbene, al di là del merito della vicenda, è interessante soffermarsi sulle tutele che vengono riconosciute dal nostro ordinamento al follower che nella fruizione di un contenuto veicolato sui social sia destinatario – più o meno consapevole – di un messaggio pubblicitario.Avv. Viola Zuddas, Civilista

L’hasthag “adv”(che deriva da “advertising”) – insieme a “partnership”,  “ad”, “sponsorizzato”, ecc.- è definito “hasthag della trasparenza”, in quanto chiarisce che il contenuto che si sta visualizzando attraverso una storia o un post è frutto di un accordo commerciale tra l’influencer, il creator o il blogger e un dato brand e che, quindi, la comunicazione ha finalità pubblicitaria. 

Il fenomeno definito “influencer marketing” con il tempo è cresciuto notevolmente grazie al fatto che, per la pubblicizzazione dei propri prodotti, le aziende che in passato si affidavano soltanto a personaggi famosi hanno deciso di avvalersi anche di persone “comuni”, o con un numero non elevato di followers, perché capaci di creare un rapporto all’apparenza più intimo e “vero” con gli utenti. 

Questo comporta che i followers spesso non rilevano la natura “commerciale” della comunicazione fatta dagli influencer o dai creator e, quindi, i contenuti da loro pubblicati vengono sostanzialmente percepiti come un “consiglio” derivante dalla loro esperienza personale. 

Tale distorsione è dovuta dal fatto che gli utenti si imbattono in tantissimi contenuti, caricati quotidianamente nei profili personali degli influencer o dei creator, che danno l’impressione di una narrazione privata del loro quotidiano soprattutto quando siano realizzati con tecniche fotografiche (volutamente?) non “professionali” e siano inseriti, magari, in un contesto definibile “familiare” o percepibile come tale. 

Come è evidente, si tratta di un fenomeno particolarmente insidioso in quanto, proprio per le modalità con cui avviene la comunicazione ed il rapporto che si instaura, il follower non rileva immediatamente l’intento pubblicitario di un dato contenuto (quindi il suo carattere commerciale) e, pertanto, il suo approccio è scevro da quelle “accortezze” che altrimenti adotterebbe naturalmente.Avv. Viola Zuddas, Civilista

Quando sussistono questi presupposti ed in assenza di specifiche indicazioni sulla natura “commerciale” del contenuto non vi è dubbio che si configuri una vera e propria pubblicità occulta. 

Ebbene, sulla scorta di quanto previsto già nel Codice del Consumo sul tema, negli anni scorsi l’Autorità Antitrust (con la collaborazione del Nucleo speciale Antitrust della Guardia di Finanza e sulla spinta dell’Unione Nazionale Consumatori e del Codacons) ha intrapreso un’attività di monitoraggio di alcuni tra i principali influencer e società titolari di marchi prestigiosi, che più di altre si avvalevano della loro collaborazione, inviando delle lettere cosiddette di “moral suasion” per sollecitare la massima trasparenza e chiarezza sull’intento commerciale esistente dietro i post pubblicati. 

Con il tempo e con la diffusione del fenomeno, l’attività condotta dall’Antitrust si è ampliata e si è rivolta a tutti gli operatori coinvolti a vario titolo (anche ai gestori delle piattaforme social, per intenderci) che sono stati invitati ad adeguare la propria comunicazione ed i contenuti pubblicati alle prescrizioni del Codice del Consumo. 

L’Autorità ha, dunque, individuato delle regole generali di condotta volte a rendere chiaramente ed immediatamente riconoscibile per gli utenti la finalità promozionale dei contenuti diffusi nei social, attraverso l’inserimento di specifici avvisi (come i cosiddetti “hasthag della trasparenza”) anche qualora il prodotto sponsorizzato sia offerto “gratuitamente” all’influencer o al creator.Avv. Viola Zuddas, Civilista

A tale ultimo riguardo, infatti, il prodotto non è un semplice regalo ma rientra in un accordo contrattuale più ampio in cui dietro la consegna dello stesso vi è l’impegno, da parte dell’influencer o del creator, di pubblicare un certo numero di contenuti promozionali: in questo caso, quindi, la controprestazione per la pubblicità fatta è rappresentata non dal denaro pagato dall’azienda ma dal bene stesso che l’influencer o il creator ha ricevuto. 

In parallelo all’attività svolta dall’AGCM deve segnalarsi quella condotta dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (I.A.P.) che tramite la digital chart (confluita nel “Codice di autodisciplina”) ha indicato i parametri per una comunicazione commerciale «onesta, veritiera e corretta» a tutela dei consumatori ed anche della leale concorrenza tra le imprese, cui la stessa Autorità fa spesso riferimento. 

Tornando, quindi, al caso Balocco – Ferragni, è pur vero che nella descrizione del post pubblicato sul proprio profilo instagram l’imprenditrice abbia inserito l’hasthag “adv”, conformemente alle indicazioni dell’Antitrust; tuttavia, può legittimamente affermarsi che questo non sia stato sufficiente per chiarire agli utenti la natura commerciale dell’iniziativa dal momento che in tantissimi hanno acquistato il pandoro nella convinzione che parte del ricavato sarebbe stato devoluto in beneficenza. 

Sarà interessante confrontare i dati delle vendite di Balocco di quest’anno con quelli degli anni precedenti per verificare l’impatto dell’accordo commerciale con Ferragni, e poi anche raffrontarli con i numeri registrati dalle altre aziende dolciarie, poiché evidentemente potrebbe altresì porsi un problema in punto di concorrenza nel mercato. 

In conclusione, questa vicenda testimonia quanto sia necessario ed urgente predisporre un’apposita disciplina capace di regolamentare l’influencer marketing per tutelare anzitutto gli utenti – consumatori da contenuti ingannevoli e, poi, anche per consentire ai brand di operare nel rispetto dei principi della concorrenza nel mercato, e infine anche per le piattaforme stesse che non devono incorrere in responsabilità in ordine ai contenuti pubblicati che siano contrari alle norme vigenti.

Viola Zuddas, Avvocato

 

Reddito di libertà: una misura a sostegno delle donne vittime di violenza

La Convenzione di Istanbul (maggio 2011), all’interno della definizione di violenza domestica, insieme alle più conosciute forme di violenza fisica, sessuale e psicologica, inserisce la violenza economica.  

L’indipendenza economica, infatti, è un aspetto rilevante, anche se spesso poco evidenziato, delle situazioni di subalternità in ambito relazionale e domestico. 

Nel contesto socio culturale italiano e non solo, le donne molto spesso hanno difficoltà ad individuare la violenza economica come un abuso perché culturalmente è considerato normale che una donna non lavori.Claudio Casti, Operatore Patronato Inac Cagliari

La marcata differenza nella gestione del denaro all’interno del nucleo familiare spesso va di pari passo con la separazione dei ruoli all’interno dello stesso. Questa separazione a sua volta alimenta un circolo vizioso che rafforza la posizione di subalternità: dalle statistiche redatte grazie ai dati raccolti nei Centri antiviolenza, una donna su tre subisce violenza economica (dati aggiornati al 2021), ma i numeri reali potrebbero essere ben più alti.  

Il fenomeno non è ben conosciuto e le donne spesso si rivolgono a un centro antiviolenza solo quando la forma di violenza che subiscono si fa più eclatante.  

Lo sportello Mia Economia di Fondazione Pangea ha stilato un identikit delle vittime di violenza economica. Gli abusi si verificano a tutti i livelli socio-economici, sono vissuti da donne di ogni classe e livello di reddito e riguardano principalmente la fascia d’età tra i 40 e i 60 anni. 

Lo stato emergenziale del 2020 e il conseguente periodo di lockdown hanno portato maggiormente all’attenzione pubblica i casi limite di violenza di genere all’interno del contesto familiare, mettendo anche in luce situazioni di prevaricazione psicologica ed economica. 

Le motivazioni che possono spingere a non abbandonare il nucleo familiare e a sopportare i soprusi di un compagno violento sono spesso riconducibili al fatto che lo stesso è l’unico percettore di reddito della famiglia.Claudio Casti, Operatore Patronato Inac Cagliari

In questo contesto trova finalmente applicazione il D.P.C.M. del 17 dicembre 2020, ex art. 105 – bis del decreto Rilancio 34/2020, che introduce il cosiddetto Reddito di Libertà (Rdl) per le donne vittime di violenza, per cui viene stanziato un fondo di 9 milioni di euro. Ulteriori somme integrative possono essere stanziate dalle singole Regioni/Province autonome ad integrazione di quanto spettante, come indicato dal messaggio INPS 1053 del 7 marzo 2022. 

Partendo dal presupposto che un primo passo verso l’uscita dalla posizione di subalternità parte dal raggiungimento dell’indipendenza economica, il Reddito di Libertà è volto proprio ad agevolare un percorso di emancipazione delle donne vittime di violenza e in condizione di povertà nonché il sostegno per l’istruzione e la formazione dei figli minori, e opera parallelamente al percorso di emancipazione e autonomia intrapreso presso il Centro antiviolenza.  

Emerge dalle statistiche dei Centri antiviolenza che una donna su tre che vi si presenta, lo fa con i figli, fatto non marginale che evidenzia l’importanza del supporto offerto dalla misura Rdl.  

Il contributo economico viene erogato dalle Regioni per tramite dei Comuni, su domanda presso l’Ufficio dei Servizi Sociali e consiste in 400 euro mensili non imponibili, spettanti per un massimo di 12 mensilità.Claudio Casti, Operatore Patronato Inac Cagliari

Il contributo non è incompatibile con altre prestazioni a sostegno del reddito erogate dall’INPS o eventuale pensione di invalidità, e spetta alle donne cittadine italiane, cittadine della Comunità Europea, o extracomunitarie munite di regolare permesso di soggiorno. Rientrano inoltre tra le beneficiarie le cittadine straniere con status di rifugiate politiche o protezione sussidiaria. 

Alla domanda andrà allegata la dichiarazione del responsabile legale del Centro antiviolenza che ha preso in carico la vittima di violenza, e la dichiarazione dello stato di bisogno straordinario ed urgente, firmata dal responsabile del Servizio Sociale di riferimento. 

Claudio Casti, Operatore Patronato Inac Cagliari

Sono nato a Cagliari nel 1981, dopo gli studi in biologia, dal 2008 ho lavorato al Caf – Cia e al Patronato Inac nelle sedi di Cagliari, San Sperate e Sestu.
Dal 2014 sono operatore nella sede provinciale del Patronato Inac di Cagliari.
 

 

 

Focus di diritto civile  • Avv. Francesco Sanna

Matrimonio forzato e violenza di genere

La Corte di Cassazione ha stabilito, con l’ordinanza del 20 aprile 2022 n. 12647, che la violenza fisica e psichica esercitate contro una donna per costringerla a convolare a nozze configura una vera e propria fattispecie di violenza di genere. 

In generale, la violenza in parola rientra tra quelle oggetto di riconoscimento di protezione internazionale e così il matrimonio imposto con la coercizione fisica e psichica consumate nei confronti di una donna, costituisce violenza di genere. 

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Focus di diritto penale • Avv. Claudia Piroddu

La violenza economica può integrare il reato di maltrattamenti?

Prima di esaminare i principali orientamenti giurisprudenziali in tema di maltrattamenti contro i familiari e conviventi, occorre premettere che la violenza domestica e di genere si manifesta attraverso molteplici modalità e, pertanto, non può essere circoscritta esclusivamente alle condotte di violenza fisica, ma vi rientrano anche quei comportamenti finalizzati ad esercitare un controllo sulla vittima, tanto sul piano psicologico, quanto sotto il profilo economico, attraverso la privazione dei mezzi di sussistenza. 

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Focus di diritto civile • Avv. Viola Zuddas

La violenza di genere ed i maltrattamenti economici

La violenza contro le donne rappresenta una violazione dei diritti umani che ha varie e preoccupanti sfaccettature poiché colpisce tantissimi e diversi aspetti della vita di chi la subisce. 

Come abbiamo avuto modo di analizzare nei precedenti articoli e focus sul tema, ci sono diverse forme di violenza: accanto a quella fisica, che si distingue per l’impiego di forza volta a sopraffare fisicamente una persona attraverso anche botte e percosse, c’è la violenza psicologica che si caratterizza per comportamenti o atteggiamenti idonei ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di un danno ingiusto, consistenti in minacce, insulti, umiliazioni, atti denigratori di vario tipo, ecc. 

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Focus di diritto dell’Unione Europea • Avv. Eleonora Pintus

Il Fondo sociale Europeo Plus a tutela delle donne

Come rilevato dalla recente Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’8 marzo 2022 sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza di genere “Per violenza contro le donne si intende una violenza di genere perpetrata nei confronti di una donna in quanto tale o che colpisce per antonomasia le donne”.

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L’articolo 9 della Costituzione, per ciò che qui interessa, prescrive che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica e, altresì, tutela il paesaggio ed il patrimonio storico ed artistico della Nazione. 

Affinché lo Stato, gli enti territoriali e gli enti pubblici riescano nel loro compito, il Legislatore ha messo loro a disposizione una serie di norme che garantiscono la libera formazione della cultura in tutte le sue manifestazioni. 

Vi è, infatti, un complesso di prescrizioni che attribuiscono autonomia alle strutture che si dedicano alla crescita del patrimonio culturale in quanto espressione delle tradizioni, dei costumi, della civiltà dei popoli e, in sostanza, perché ne rappresentano la memoria storica. 

Tra queste strutture, ovviamente, non possono non menzionarsi i musei. 

Come si legge nel Decreto ministeriale MiBACT del 23 dicembre 2014 recante “Organizzazione e funzionamento dei musei statali”, i  musei sono istituzioni permanenti, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. 

Essi, dunque, rivestono un ruolo fondamentale per la collettività poiché custodiscono il suo patrimonio culturale promuovendone la conoscenza presso il pubblico e la comunità scientifica, e ne condividono valori e peculiarità con il resto del mondo, consentendo di comprendere il tessuto socio – culturale di atri Paesi. 

Tutto questo è possibile anche grazie al fatto che i musei assicurano la pubblica fruizione delle opere che custodiscono, garantendo l’accessibilità e promuovendo l’inclusione. 

L’importanza dei musei è stata indirettamente e distopicamente riconosciuta anche da diverse associazioni ambientaliste che hanno deciso di eseguire delle azioni dimostrative di resistenza civile imbrattando delle famosissime opere d’arte per attirare l’attenzione sulla crisi climatica.Avv. Viola Zuddas, Civilista

In particolare, alcuni attivisti di Just Stop Oil e Letzte Generation hanno preso di mira opere come “I Girasoli” di Van Gogh, una delle versioni dei “Covoni” di Monet, “La Ragazza col turbante” (anche conosciuta come “Ragazza con l’orecchino di perla”) di Jan Vermeercon, con delle performance che hanno sollevato tantissime polemiche in quanto, almeno in apparenza, hanno messo in pericolo le opere stesse. 

In realtà tutti i quadri erano protetti da un vetro che fortunatamente ne ha preservato l’integrità. 

Ma cosa accade in Italia se un’opera d’arte viene danneggiata?

Il Legislatore italiano ha inteso riformare le disposizioni penali a tutela del patrimonio culturale, che si trovano oggi contenute prevalentemente nel Codice dei beni culturali (cioè, il d.lgs. n. 42 del 2004), inserendole nel codice penale per dotare l’ordinamento di una disciplina più razionale ed organica. 

A tal fine, il 3 marzo 2022 è stata approvata la L.22/2022 recante “Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale”, che si pone in continuità con la Convenzione europea di Nicosia, ratificata dall’Italia il 12 gennaio 2022. 

L’obiettivo dichiarato è, quindi, quello di tutelare, conformemente al disposto dell’articolo 9 della Costituzione, il patrimonio culturale, storico ed artistico mediante: 

  • la previsione di nuove fattispecie di reato per reprimere condotte criminose contro beni di rilevanza costituzionale, 
  • l’inasprimento delle sanzioni previste per i reati già tipizzati, attuando al contempo quindi anche la finalità deterrente e general preventiva dell’impianto normativo.Avv. Viola Zuddas, Civilista

Per ciò che qui è di interesse, è stato introdotto l’art. 518 duodecies c.p., rubricato “Distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici” che ai primi due commi prescrive: «Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali o paesaggistici propri o altrui è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 2.500 a euro 15.000. 

Chiunque, fuori dei casi di cui al primo comma, deturpa o imbratta beni culturali o paesaggistici propri o altrui, ovvero destina beni culturali a un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico ovvero pregiudizievole per la loro conservazione o integrità, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 1.500 a euro 10.000.» 

Nell’ultimo comma si precisa che la sospensione condizionale della pena è subordinata al ripristino dello stato dei luoghi o all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna. 

Si tratta di una norma molto più severa e ampia rispetto al dettato dell’art. 733 c.p., rubricato “Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale”, che prescrive l’arresto fino a un anno o con l’ammenda non inferiore a euro 2.065 in caso di distruzione, deterioramento o danneggiamento di un monumento o un’altra cosa propria se l’autore è a conoscenza del rilevante pregio e se dal fatto deriva un nocumento al patrimonio archeologico, storico, o artistico nazionale. 

L’intento del Legislatore è, quindi, chiarissimo: l’inasprimento delle norme penali è necessario e funzionale ad attuare la tutela del patrimonio artistico e storico della Nazione che rappresenta uno dei principi fondamentali del nostro Paese, come prescritto dall’art. 9 Cost.Avv. Viola Zuddas, Civilista

D’altronde, quando si parla del patrimonio artistico e storico si fa riferimento a tutto quel complesso di beni pubblici e privati che testimoniano le origini e l’evolversi della civiltà italiana e che, dunque, sono legati alla nostra identità culturale. 

I musei, nello specifico, rivestono un ruolo fondamentale nella salvaguardia e diffusione della cultura e, pertanto, ormai ci si deve aspettare che vengano impiegati come strumento di protesta civile per veicolare la diffusione di messaggi particolarmente importanti, come quelli legati ai cambiamenti climatici: ciò che conta, però, è che il tutto avvenga nel pieno rispetto delle opere che vi sono custodite, di chi le ha create e di chi vuole usufruirne.

Viola Zuddas, Avvocato

 

 

Domotica e sicurezza nelle abitazioni 

La domotica è la disciplina che ha come fine quello di controllare, gestire e automatizzare tutti gli aspetti di una abitazione attraverso l’uso della tecnologia. 

Lo smartphone, il tablet e gli assistenti vocali diventano i mezzi e l’estensione di un controllo costante sempre a portata di mano. 

La sicurezza tramite video sorveglianza è un settore di grande rilevanza della domotica odierna che, grazie alla presenza di numerosi dispositivi sul mercato, permette di controllare e interagire con la propria abitazione grazie ad internet, 24 ore al giorno, ovunque ci si trovi nel mondo. 

Le telecamere disponibili all’acquisto hanno qualità visive ad altissima definizione e funzionano egregiamente tramite wireless. Filippo Camboni, Ingegnere

In esterno le telecamere lavorano in sinergia con sensori ad infrarosso per la visione notturna: potenti luci led si accendono quando i sensori di movimento rilevano qualcuno o qualcosa, registrando un evento in sviluppo davanti all’abitazione. 

All’interno hanno sistemi ad infrarosso migliorati e la capacità di seguire gli spostamenti e “vedere” cosa succede ad ampio raggio. 

Il video in sé può contenere svariate informazioni personali e/o riguardanti terze persone, chiamati “metadati”: ad esempio i volti sono identificati non solo passivamente ma, anche, con il riconoscimento dell’identità della persona; le targhe automobilistiche sono lette e non solo video-registrate; la traccia audio con informazioni sensibili è aggiunta al video grazie ai microfoni integrati nei dispositivi; infine, compaiono gli orari di un dato avvenimento.Filippo Camboni, Ingegnere

Ma cosa accade se nel monitorare un’area privata si registrano anche immagini riguardanti ambienti comuni aperti al pubblico?

È sicuramente interessante analizzare il caso in cui il monitoraggio di un’area privata comporti l’acquisizione di video e/o immagini di parti comuni di passaggio di uno stabile, come nel caso di un posto auto privato in un cortile comune, aperto al pubblico, dove può transitare chiunque. 

Anzitutto, deve chiarirsi che, nel caso in cui venga rilevato il passaggio di una persona viene immediatamente trasmessa una notifica all’utente che può effettuare un controllo istantaneo accedendo alle immagini ed ai video acquisiti: questi possono essere salvati sia in locale sul proprio smartphone, sia sul cloud. 

Il cloud è uno spazio apposito, digitale, gestito dalle grandi compagnie informatiche dove vengono immagazzinati tutti i dati e le informazioni che, quindi, sono conservati ed utilizzabili dall’utente in qualunque momento.Filippo Camboni, Ingegnere

Il tempo di archiviazione e la disponibilità di spazio sono pressoché infiniti finché si acquista spazio sul cloud 

Tuttavia, la gestione del materiale digitale è definita da chi effettua la registrazione e dalle normative in vigore, che verranno trattate negli articoli degli avvocati di ForJus. 

In parallelo, anche le misure di sicurezza digitale si sono evolute con il crescere della tecnologia dei dispositivi. 

I produttori delle telecamere forniscono all’utente un dominio dedicato, il cui accesso alla visione “live” e delle registrazioni è reso possibile tramite delle credenziali personali. 

Devono essere scelti dall’utente un “nome” e una “password”, preferibilmente robusti, ovvero complicati, e non banali. 

Inoltre, si aggiunge la verifica in due passaggi, cioè un ulteriore livello di sicurezza che prevede che, nonostante l’inserimento dei dati di autenticazione sia corretto, venga inviato un codice univoco al numero di cellulare per confermare l’accesso e completare la procedura.Filippo Camboni, Ingegnere

Altresì, le grandi aziende informatiche propongono delle sicurezze ulteriori, da sommarsi a quelle dei produttori dei dispositivi, con dei servizi “Secure Video” il cui utilizzo permette una crittografia end-to-end, in cui i dati ai due estremi server-utente sono criptati e, dunque, non si può accedere come intermediari malevoli intercettandone i contenuti. 

Oltre a quanto già detto, è sempre raccomandato scegliere anche le password del sistema wi-fi solide ed effettuare sempre gli aggiornamenti dei sistemi in modo da chiudere falle informatiche per rendere più difficile possibile attingere ai dati personali. 

Filippo Camboni, Ingegnere meccanico

Ho conseguito la laurea in Ingegneria Meccanica con una prova finale sullo studio e validità di nuove applicazioni biomediche sulle protesi d’anca. 
In seguito con una votazione di 110/110 e Lode ho concluso la Laurea Magistrale in ingegneria Meccanica con particolare riferimento alla parte Gestionale e alla Progettazione meccanica.  

In collaborazione con Sardegna Ricerche ho portato avanti un progetto di sviluppo sulla valorizzazione di prodotti tipici sardi, realizzando dei dispositivi robotici per la raccolta e mondatura automatizzata dello zafferano. 
Inoltre ho aiutato per diversi anni nella didattica universitaria collaborando nel corso di Meccanica applicata alle Macchine svolgendo lezioni e assistenza.
In aggiunta, seguendo la passione per lo sport, che ho praticato da sempre provando varie discipline, ho ottenuto la certificazione di istruttore fitness riconosciuta dal CONI.

Dopo aver maturato varie esperienze nel settore dell’informatica ho scelto di approfondire il settore delle nuove tecnologie, con particolare attenzione allo studio della domotica, specialmente
wireless, con dispostivi innovativi di facile installazione. 

Il proposito è quello di gestire e controllare il dispendio termico degli edifici, migliorare il consumo energetico e utilizzare recenti impianti sulla sicurezza delle abitazioni.

Da qui l’idea di creare Smart Haus, un riferimento chiaro sulle possibilità attuali della domotica wireless
Lo scopo è mostrare attraverso spiegazioni mirate e video illustrativi come funzionano i dispositivi domotici e i loro possibili utilizzi e automazioni. 

Focus di diritto dell’Unione Europea • Avv. Francesco Sanna

Glossario sul GDPR

Il tema oggetto del focus di questo mese presenta vari punti di contatto con la disciplina riguardante il diritto alla privacy, nonché l’utilizzo, la conservazione e la sicurezza dei dati che vengono acquisiti per mezzo delle tecnologie oramai di utilizzo comune nei vari contesti sociali.
Ciò premesso, pare utile fornire un glossario sui termini utilizzati nel regolamento sulla protezione dei dati (GDPR) n. 2016/67, in materia di trattamento dei dati personali e di
privacy.

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Focus di diritto penale • Avv. Claudia Piroddu

L’installazione di un sistema di videosorveglianza può costituire reato?

La Corte di Cassazione, in linea con le indicazioni fornite dal Garante della Privacy, si è pronunciata più volte e spesso in maniera contrastante sulle modalità di utilizzo degli impianti di videosorveglianza, al fine di contemperare, da un lato, le esigenze di tutela della persona e del patrimonio, e dall’altro lato di garantire la tutela della riservatezza, in armonia con i principi costituzionali.  

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Focus di diritto civile, condominio • Avv. Viola Zuddas

I sistemi di videosorveglianza in Condominio

L’installazione di un impianto di videosorveglianza in Condominio deve avvenire, anzitutto, nel rispetto delle prescrizioni previste dal Codice Civile, dal Codice Penale e dalle linee guida del Garante della Privacy che, con il Regolamento n.2016/679, ha disciplinato compiutamente la materia.
Difatti, è stato previsto un articolato sistema per tutelare la sicurezza delle persone e delle cose dei condomini che potrebbero subire un serio pregiudizio dal trattamento illecito dei dati personali raccolti nel caso in cui, come purtroppo talvolta accade, questi siano impiegati per scopi estranei alle esigenze condominiali. 

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Focus di diritto dell’Unione Europea • Avv. Eleonora Pintus

Assistenti vocali invadenti: le linee guida UE

Come spiegato nel Focus del nostro collaboratore, la domotica è la disciplina che mira a migliorare la funzionalità delle nostre case grazie a un insieme di automazioni e tecnologie domestiche che consentono di gestire da remoto tutti gli apparecchi di un’abitazione tramite strumenti quali lo smartphone, il tablet e gli assistenti vocali. 

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A ciascuno di noi potrebbe capitare che dall’appartamento del vicino promanino, quotidianamente e magari per diverse ore al giorno, odori ed immissioni di calore e rumore che eccedono la normale tollerabilità e che sconvolgono le abitudini del proprietario di casa che le subisce. 

Potrebbe, quindi, anche accadere che, a seguito di tale situazione, il proprietario di casa non possa servirsi pienamente della propria abitazione perché, ad esempio, non può più utilizzare la terrazza né tenere liberamente aperte le finestre per evitare il propagarsi delle esalazioni. 

Come si deve comportare il proprietario in situazioni come quella appena descritta? 

Cosa dice la legge

Anzitutto, deve precisarsi che l’art. 844 c.c., rubricato “Immissioni”, prescrive che «Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso.» 

Tale norma regola la disciplina delle immissioni, che trova applicazione anche in materia di proprietà condominiale e di comunione, allorché un condomino, nel godimento della propria unità pure se soggetta a destinazione differente (es. locale commerciale), dia luogo ad immissioni moleste nella proprietà di altri condomini. 

La ratio della disposizione in commento, quindi, è quella di tutelare la proprietà nella sua pienezza con riferimento anche alle esigenze di vita del proprietario e di piena fruibilità del bene. 

Da ciò ne discende che colui che subisce delle immissioni intollerabili, che si propagano continuamente o periodicamente, è sicuramente legittimato ad ottenere sia la cessazione della molestia che il risarcimento del danno patito o, comunque, un indennizzo che ristori il pregiudizio sofferto.Avv. Viola Zuddas, Civilista

Ma cosa si intende per “immissione intollerabile”?

Per giurisprudenza ormai costante, è considerata intollerabile quell’immissione, sia essa olfattiva, uditiva o di calore, che per le sue caratteristiche è idonea ad incidere in maniera negativa sul normale svolgimento delle attività quotidiane. 

Essa, quindi, dev’essere tale da coinvolgere le abitudini della persona e compromettere, così, la qualità della sua vita. 

Il giudizio sulla tollerabilità si deve formulare tenendo in considerazione la condizione dei luoghi (ad esempio se tratti di un’abitazione o di un locale commerciale adibito a ristorante, se si trovi in centro città o in campagna…) che impone il successivo contemperamento degli interessi coinvolti, come prescritto dall’art. 844 c.c.: pertanto, nell’ipotesi in cui lo svolgimento di un’attività produttiva comporti delle immissioni, la soglia di tollerabilità può essere innalzata secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti. 

Tuttavia, nell’ottica di un necessario contemperamento di interessi che vede contrapporsi le esigenze di produzione e le esigenze di vita, queste ultime devono sicuramente considerarsi preminenti. 

Difatti, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, è da ritenersi prevalente il diritto, e l’interesse, ad una normale qualità della vita. 

Il principio di precauzione ed il risarcimento del danno

Deve ricordarsi, poi, che il principio di precauzione, sancito a livello comunitario anche come cardine della politica ambientale (tutelare l’ambiente risulta essenziale per salvaguardare la qualità della vita),  riconosce al diritto alla salute, che è evidentemente connesso con la qualità della vita, una tutela talmente estesa che non risulta necessaria una sua lesione certificata ed effettiva.Avv. Viola Zuddas, Civilista

È sufficiente, infatti, che vi sia una situazione potenzialmente pregiudizievole per la salute affinché questa venga tutelata. 

La Corte di Cassazione ha chiarito che: «Il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite è risarcibile indipendentemente da un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall’art. 8 Conv. Eur. Dir. Uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi. Ne consegue che, considerata la natura del pregiudizio oggetto di tutela, la relativa prova può essere fornita anche mediante presunzioni, sulla base delle nozioni di comune esperienza.» (Cass. civ. sent. n.16408/17, che richiama Cass. civ. SS. UU. sent. n. 2611/17, Cass. civ. sent. n.20927/2015 e Cass. civ. sent. n.26899/2014). 

Sulla base del principio di diritto espresso dalla Suprema Corte, dunque, deve affermarsi che nell’ipotesi in cui taluno subisse un pregiudizio in danno della propria salute sarà legittimato ad ottenere pieno ed integrale ristoro, anche eventualmente in via equitativa. 

A tale ultimo riguardo, deve infatti chiarirsi che qualora non sia possibile quantificare con precisione il danno ingiustamente patito il Giudice potrà liquidarlo equitativamente, ai sensi dell’art. 1226 c.c., purché sia stata data comunque prova della sua sussistenza. 

Il Giudice, dunque, ben potrà valutare secondo il proprio prudente apprezzamento, e sulla base delle nozioni di comune esperienza, il danno sofferto ingiustamente, tenendo conto sia della natura degli interessi oggetto di tutela, sia del perdurare della condotta illegittima di controparte. 

Viola Zuddas, Avvocato

 

 

Come abbiamo visto nei nostri precedenti articoli e nei focus a cura dell’Arch. Carlo Murtas di Hinternos dedicati a questo tema, il Superbonus 110% è stato introdotto dal Governo presieduto da Giuseppe Conte come strumento volto a rilanciare l’economia e, al contempo, tutelare l’ambiente. 

Lo stesso, infatti, è stato definito come la chiave “green” per la ripartenza economica del Paese tant’è che la riqualificazione energetica degli immobili nel 2021 ha generato un volume d’affari complessivo di 65 miliardi di euro nella filiera delle costruzioni (a fronte dei 30 miliardi dell’anno precedente – dati CNA, Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa). 

Dati che, tra l’altro, sono stati di recente confermati dal Dipartimento Politica Economica (cosiddetto DiPE) di Palazzo Chigi che sul proprio sito riporta l’analisi compiuta da Luiss Business School e Openeconomics che parla di «valore aggiunto di 16,64 miliardi di euro per una spesa di 8,75 nel 2020-2022.» 

Tuttavia, nel corso dell’ultimo anno si sono succeduti diversi emendamenti che hanno inciso notevolmente sulla disciplina che governa il Superbonus 110% tanto da creare zone d’ombra ed un’incertezza diffusa non soltanto tra i professionisti che operano nel settore ma, anche, tra i committenti stessi. 

Incertezza che, come facilmente intuibile, ha bloccato l’esecuzione dei lavori già in corso ed ha impedito l’avvio di nuovi cantieri, con disastrose conseguenze economiche per i professionisti coinvolti e le imprese. 

Difatti, secondo quanto riportato da Ansa.it e da CNA le frequenti modifiche normative ed il blocco dell’acquisto dei crediti da parte degli istituti bancari e postali legati ai bonus rischia di far fallire 33.000 imprese artigiane cui, a livello nazionale, si stima sia collegata la perdita di 150.000 posti di lavoro nel comparto dell’edilizia.Avv. Viola Zuddas, Civilista

Questa situazione è dovuta al fatto che migliaia di imprese che hanno lavorato per realizzare delle opere hanno applicato lo sconto in fattura, anticipando – in sostanza – il contributo di cui avrebbero poi beneficiato i committenti facendo affidamento sulla possibilità di recuperare il valore della prestazione attraverso la cessione dei crediti ad intermediari finanziari o soggetti terzi, così come prescritto dalla normativa. 

Tuttavia, a causa del blocco legato alla cessione dei crediti le imprese non sono riuscite ad incassare il corrispettivo dell’opera prestata e, dunque, si sono travate i cassetti fiscali pieni di crediti inceduti e senza liquidità. 

Per capire la serietà del fenomeno è importante riportare i dati di un’apposita indagine condotta da CNA dalla quale è emerso che i crediti fiscali delle imprese che hanno riconosciuto lo sconto in fattura e che non sono ancora stati monetizzati attraverso una cessione ammontano a quasi 2,6 miliardi di euro. 

Ebbene, come già anticipato, la gravità della situazione in cui versano le imprese si ripercuote necessariamente anche sugli altri operatori del settore: per non essere schiacciate dalla mancata cessione dei crediti, le imprese stanno ricorrendo a mutui e prestiti di vario genere per pagare i collaboratori ed i dipendenti ma c’è anche chi sta pagando in ritardo i fornitori o posticipa il pagamento di tasse e imposte e, infine, anche chi non riesce a sostenere alcun costo né di manodopera né di fornitura. 

E lo Stato?

È del tutto evidente che risulti assolutamente necessario un intervento deciso da parte dello Stato per scongiurare una gravissima crisi economica e sociale. 

Per questo motivo, nelle scorse settimane è stato approvato dalle Commissioni Bilancio e Finanze della Camera un emendamento inserito nel cosiddetto “decreto Aiuti” che, almeno nelle intenzioni dichiarate, dovrebbe far ripartire il mercato dei crediti legati ai bonus edilizi.Avv. Viola Zuddas, Civilista

In precedenza, l’articolo 29-bis del cosiddetto “decreto Energia” aveva portato da tre a quattro il numero di cessioni di crediti effettuabili con delle peculiarità: 

  • la seconda e la terza cessione si sarebbero potute fare soltanto a favore di banche, intermediari finanziari e società appartenenti a un gruppo bancario vigilato, 
  • la quarta cessione si sarebbe potuta fare da parte delle sole banche a favore dei soggetti coi quali ci fosse un contratto di conto corrente, con il risultato che le banche avrebbero potuto cedere il credito ai correntisti che siano clienti professionali loro o della loro capogruppo. 

Con l’ultimo emendamento, invece, le banche avranno la possibilità di cedere i crediti legati ai bonus edilizi non più a favore dei clienti professionali privati ma a favore di soggetti diversi dai consumatori o utenti, a patto che siano sempre correntisti. 

Deve, inoltre, aggiungersi che l’emendamento non incide sulla responsabilità dei cessionari, regolandola compiutamente, sicché sarà comunque necessario indagare caso per caso per valutare quale sia il grado di diligenza che il cessionario sia tenuto ad applicare in considerazione della propria natura. 

Difatti, è bene ricordare che il grado di diligenza che sia lecito aspettarsi sarà tanto maggiore quanto più è professionale la figura con cui si entrerà in contatto: ad esempio, un intermediario finanziario sarà tenuto ad osservare diligenza professionale, dunque, “qualificata” e perciò superiore rispetto a quella che ci si può aspettare da un privato. 

Questa misura è davvero risolutiva?

Purtroppo, anche il Decreto Aiuti non si dimostra idoneo a far ripartire il mercato dei crediti legati al Superbonus 110% né, tantomeno, a far uscire dalla crisi le migliaia di imprese e professionisti del settore dell’edilizia. 

Infatti, ai sensi comma 3 dell’articolo 57 le nuove norme in materia di cedibilità del credito si applicano alle comunicazioni della prima cessione o dello sconto in fattura inviate all’Agenzia delle Entrate a partire dal 1° maggio 2022.Avv. Viola Zuddas, Civilista

Ed i crediti maturati anteriormente? 

Ebbene, proprio questi crediti – che, evidentemente, sono quelli più consistenti e problematici per le imprese – sono esclusi dalle novità introdotte dal Decreto Aiuti e, pertanto, la loro cessione rimane assolutamente limitata e vincolata. 

Dunque le banche, ovvero le società appartenenti ad un gruppo bancario iscritto all’albo tenuto dalla Banca d’Italia, potranno cedere i crediti a società, professionisti e partite Iva soltanto in ordine alle comunicazioni della prima cessione o dello sconto in fattura inviate all’Agenzia delle Entrate a far data dal 1° maggio 2022. 

Leggendo i dati delle ricerche effettuate da diversi istituti – Ance, il Sole 24 Ore, il Dipartimento Politica Economica, Luiss Business School e Openeconomics, per citarne alcuni –  emerge che il Superbonus 110% è uno strumento che produce un notevole ritorno economico nelle casse dello Stato, grazie anche alle migliaia di posti di lavoro che crea, e, al contempo, contribuisce a rendere gli edifici più sicuri ed ecosostenibili. 

Viene, quindi, da domandarsi perché il Governo sia così ostinatamente contrario a questa misura, tanto da negare i risvolti più che positivi che questa ha avuto sull’economia nazionale.

Viola Zuddas, Avvocato

PNRR e sport: occasione di riqualificazione urbana

In seguito alla crisi globale derivata dalla pandemia da Covid-19, che ha travolto l’intero pianeta, la Commissione europea ha lavorato ad un piano di ripresa dedicato a tutti i paesi membri dell’Unione europea, volto a sanare i danni economici e sociali derivati dall’emergenza sanitaria. 

Con questi presupposti è nato lo strumento finanziario denominato NextGenerationEU, dedicato al finanziamento di interventi finalizzati allo sviluppo economico e alla crescita sostenibile dei paesi colpiti dalle difficoltà generate dal coronavirus. 

Il principale mezzo attuativo di questo pacchetto di finanziamenti europei è il RRF, Dispositivo per la ripresa e la resilienza, che ha consentito agli stati europei di presentare un proprio piano di investimenti, in linea con i principi del NGEU. 

L’Italia, uno dei paesi più colpiti dalla crisi economica, ha quindi progettato e dato vita al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), un piano che prevede sei missioni:  

  1. digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo, 
  2. rivoluzione verde e transizione ecologica,
  3. infrastrutture per una mobilità sostenibile,
  4. istruzione e ricerca,
  5. inclusione e coesione,
  6. salute.

La missione n.5, suddivisa in tre componenti, è fortemente legata al mondo dello sport, strumento di coesione sociale, e punta essenzialmente sulla realizzazione di nuove strutture e sulla ristrutturazione del patrimonio impiantistico sportivo esistente, mirando alla sostenibilità e alla socializzazione come mezzi per la riqualificazione di aree urbane destinate alla collettività.Elena Falqui, Ingegnere

L’investimento relativo all’edilizia sportiva si articola in due avvisi, dedicati a due gruppi denominati cluster 1/2 e 3, che differiscono per la tipologia dei Comuni destinatari e la configurazione delle proposte.  

Il cluster 3 è quello rivolto ai Comuni italiani che presentino progetti accompagnati dalla sponsorizzazione di una federazione sportiva, che manifesti e sottoscriva il proprio interesse negli interventi, al fine di garantire una maggiore promozione e una condivisione di livello nazionale, grazie alla partecipazione di enti che assicureranno la funzionalità degli impianti promossi. 

La manifestazione di interesse pubblicata dal governo, e destinata ai Comuni italiani, prevede un importo finanziabile pari a Euro 162.000.000,00, ed è destinata a progetti riguardanti impianti di proprietà pubblica, con un tetto di contributo di 4 milioni di euro a intervento; il bando indica la possibilità di individuare un singolo intervento, sia per i presentanti domanda, che per le Federazioni sportive, che possono esprimere il loro interesse su un unico progetto. Le domande di partecipazione dovevano essere consegnate entro il 22 aprile 2022, tramite invio alla pec del governo dedicata, con una prima descrizione dell’intervento proposto e delle finalità prefisse, l’indicazione dei soggetti coinvolti e della loro capacità economica, oltre ad un cronoprogramma per la realizzazione delle opere (per un approfondimento clicca il link: https://www.sport.governo.it/media/3380/cluster-3-avviso-pubblico-di-invito-a-manifestare-interesse.pdf). 

La procedura per l’ammissibilità delle istanze sarà improntata alla definizione di un quadro nazionale omogeneo, impostato sul censimento delle strutture sportive attualmente esistenti sul territorio, individuando quindi gli interventi che possano maggiormente rispondere alle finalità prescritte dal PNRR, per garantire la massima riposta in termini di ricrescita economica e sociale. 

I progetti che si aggiudicheranno il finanziamento avranno l’obbligo di andare in appalto e aggiudicazione entro il 31 marzo 2023 e dovranno concludersi con la fine lavori entro il 31 gennaio 2026. 

La riqualificazione dell’impiantistica sportiva, oltre alla creazione di nuovi poli dedicati allo sport che riconfigureranno e trasformeranno grandi aree cittadine, recuperando e valorizzando aree urbane in disuso, avrà inoltre un importante impatto relativamente all’opportunità di poter programmare e organizzare manifestazioni di vario livello da parte dei vari comuni italiani, che potranno contare su strutture adeguate sotto ogni profilo. 

Basti pensare che solo nel nostro comune di Cagliari sono presenti più di 30 impianti dedicati allo sport di proprietà pubblica con gestione diretta, convenzionata o in concessione, ma che la maggior parte di questi versa in pessime condizioni e ha urgente necessità di ristrutturazioni importanti e, punto fondamentale, non sono a norma per l’apertura al pubblico durante le manifestazioni di qualsiasi entità  poiché non certificate per la prevenzione degli incendi (Certificato di Prevenzione Incendi – CPI).Elena Falqui, Ingegnere

Gli eventi sportivi svolti nell’ultimo anno hanno avuto un riscontro molto positivo da parte del pubblico che, dopo le restrizioni degli ultimi anni, ha accolto con entusiasmo la recente riapertura a capienza piena degli impianti sportivi, come dimostrato, ad esempio, dagli Internazionali d’Italia di tennis di maggio di quest’anno, che hanno superato il record assoluto di partecipazione di spettatori della storia del torneo. 

Gli italiani hanno necessità di riscatto, di ripartenza e di socialità e lo sport è sicuramente uno dei mezzi principali per garantire questo processo e le manifestazioni di alto livello sono uno strumento per una crescita economica.

Elena Falqui, Ingegnere

Mi sono laureata nel 2007 in Tecnologie per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali e nel 2010 in Ingegneria Edile, col massimo dei voti presso la facoltà di Ingegneria e Architettura di Cagliari; ho conseguito il Master di II livello in Progettazione di impianti sportivi presso la Sapienza a Roma nel 2011.
Ho svolto inizialmente l’attività di libero professionista presso uno studio privato e contemporaneamente presso lo studio di Ingegneria e Architettura di famiglia.
Nel 2012 ho intrapreso la mia prima esperienza a Roma, affiancando l’architetto incaricato, dal CONI e dalla FIT, della progettazione degli spazi del Foro Italico a Roma in occasione degli Internazionali BNL d’Italia.
Nello stesso anno sono stata assunta dalla FIT, ho proseguito l’affiancamento col progettista degli IBI; ho svolto anche il ruolo di referente FIT per gli impianti sportivi di tennis in tutta Italia e ho fatto parte per alcuni anni della Commissione Impianti Sportivi; ho anche partecipato al gruppo di controllo sul “Fondo Rotativo FIT”, verificando, dal punto di vista tecnico, le richieste di finanziamenti dei circoli affiliati.
Dal 2019 sono diventata un collaboratore esterno della Federazione Italiana Tennis e tuttora proseguo il mio percorso nel mondo dello Sport.
Da ottobre 2021 sono inserita nell’elenco del corpo nazionale dei Vigili del fuoco come professionista abilitata  alla progettazione antincendio.
Mi occupo principalmente della progettazione degli spazi, della direzione dei lavori, della sicurezza sia in fase di progettazione che esecuzione nei cantieri, della stesura di Piani Safety&Security e sono il referente nei rapporti con l’amministrazione locale durante la programmazione di manifestazioni sportive. 

 

Focus di diritto tributario • Avv. Francesco Sanna

PNRR e la riforma fiscale

A più di otto mesi dall’approvazione del Piano, si riconferma il consenso sul PNRR come grande occasione per il rilancio del Paese, ma aumenta la sfiducia sulla capacità del Governo di raggiungere gli obiettivi prefissati.
Questo è quanto emerge dal sondaggio e dall’analisi sui risultati effettuati da Ernst & Young. 

Oggi, l’83% (contro il 92% di settembre 2021) dei manager vede il PNRR come occasione unica per il rilancio del Paese.

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Focus di diritto penale • Avv. Claudia Piroddu

PNRR e prevenzione delle infiltrazioni mafiose

Il d.l. 6 novembre 2021 n. 152, denominato “Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose”, così come convertito con la L. 29 dicembre 2021 n. 233, ha introdotto, per quanto qui di interesse, oltre alla riforma del processo penale mirata alla digitalizzazione e ad una serie di interventi per garantire maggiore celerità del procedimento, anche delle importanti novità in materia di misure di prevenzione antimafia, intervenendo sul cd. Codice antimafia.

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Focus di diritto civile, tutela della persona • Avv. Viola Zuddas

Il PNRR al servizio dello sport per l’inclusione sociale

Come chiarito dal Dipartimento per lo sport (clicca qui per un approfondimento: https://www.sport.governo.it/it/pnrr/sport-e-inclusione-sociale-avvisi-a-manifestare-interesse/ ) il PNRR si pone (anche) l’obiettivo di incrementare l’inclusione e l’integrazione sociale attraverso la realizzazione e/o la rigenerazione di impianti sportivi che favoriscano il recupero di aree urbane destinate alla collettività.

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Focus di diritto dell’Unione Europea • Avv. Eleonora Pintus

Next generation EU e PNRR: inclusione di soggetti fragili e vulnerabili 

Al fine di riparare i danni economici e sociali causati dall’emergenza sanitaria da COVID-19 e creare una solida base per una comune ripartenza europea, la Commissione europea, il Parlamento europeo e i leader dell’UE hanno concordato un piano di ripresa di carattere finanziario denominato NextGenerationEU, espressione di una nuova politica di coesione.

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Come abbiamo già visto brevemente nella precedente pillola di diritto di febbraio, nei mesi scorsi il Governo ha approvato due provvedimenti per riformare i meccanismi con cui vengono assegnate le concessioni pubbliche agli stabilimenti balneari. 

Tali provvedimenti, in sostanza, danno attuazione alle sent. n.17–18/2021 del Consiglio di Stato che impongono lo stop delle proroghe delle concessioni marittime da gennaio 2024 conformemente alla normativa europea in materia di liberalizzazione. 

Sul punto, infatti, è bene ricordare che la Corte di giustizia nella sentenza del 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15 con riferimento all’art. 12 paragrafi 1 e 2 della direttiva 2006/123/CE e dell’art. 49 TFUE ha sancito alcuni importanti principi – e contestualmente ha dettato degli altrettanto importanti criteri applicativi – in materia di libera circolazione dei servizi, di par condicio, di imparzialità e di trasparenza per le concessioni balneari. 

Dunque, prima delle pronunce del Consiglio di Stato, nel nostro ordinamento vi era un vero e proprio contrasto tra la normativa nazionale  (in particolare l’art. 1, commi 682 e 683, L. n. 145 del 2018 che dispone la proroga automatica e generalizzata fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni demaniali in essere) e le norme dell’Unione Europea direttamente applicabili. 

Peraltro, inizialmente il conflitto è stato risolto in favore della normativa nazionale sul presupposto che il diritto dell’Unione non avrebbe potuto imporre l’obbligo di evidenza pubblica per il rilascio delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative. 

Successivamente, proprio la sentenza n.17/2021 del Consiglio di Stato ha affermato la preminenza del diritto comunitario ed ha precisato che: «il diritto dell’Unione impone che il rilascio o il rinnovo delle concessioni demaniali marittime (o lacuali o fluviali) avvenga all’esito di una procedura di evidenza pubblica, con conseguente incompatibilità della disciplina nazionale che prevede la proroga automatica ex lege fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni in essere.» 

Ebbene, come chiarito dallo stesso Consiglio di Stato, per garantire una più efficiente gestione del patrimonio costiero e una correlata offerta di servizi pubblici di migliore qualità è previsto un giusto rapporto tra servizi offerti e tariffe proposte ed un adeguato equilibrio tra le aree demaniali in concessione e quelle libere o libere attrezzate. 

A quest’ultimo proposito, da un report del Demanio Marittimo del Ministero delle Infrastrutture emerge che in Italia quasi il 50% (in alcune Regioni addirittura il 70%) delle coste sabbiose è occupato da stabilimenti balneari: si tratta di una percentuale di occupazione molto elevata se si considera che i tratti di litorale soggetti ad erosione sono in costante aumento e che una parte significativa della costa “libera” risulta non fruibile per finalità turistico-ricreative, perché inquinata o comunque abbandonata.Avv. Viola Zuddas, Civilista

Per le concessioni balneari, dunque, dovranno essere organizzate gare pubbliche con regole equilibrate e pubblicità internazionale, nel rispetto del principio di non discriminazione in base alla nazionalità e di quello di parità di trattamento di ogni potenziale offerente, cui dev’essere garantito un «adeguato livello di pubblicità» che consenta l’apertura del relativo mercato alla concorrenza. 

È chiaro che tali principi sono correlati con l’attuazione di due obblighi fondamentali: 

  • obbligo di trasparenza: volto a scongiurare eventuali disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate all’appalto, 
  • obbligo di imparzialità: che impone un rigido controllo sulle procedure di aggiudicazione. 

Sul punto è molto importante sottolineare che a differenza di un appalto “normale”, che riguarda un determinato bene o servizio e che viene eseguito una tantum, nel caso delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative la Pubblica Amministrazione mette a disposizione dei privati concessionari un complesso di beni demaniali che, valutati unitariamente e complessivamente, costituiscono uno dei patrimoni naturalistici (in termini di coste, laghi e fiumi e connesse aree marittime, lacuali o fluviali) più rinomati e attrattivi del mondo. 

Lo stesso Consiglio di Stato, peraltro, precisa che: «il giro d’affari stimato del settore si aggira intorno ai quindici miliardi di euro all’anno, a fronte dei quali l’ammontare dei canoni di concessione supera di poco i cento milioni di euro, il che rende evidente il potenziale maggior introito per le casse pubbliche a seguito di una gestione maggiormente efficiente delle medesime.» 

Pertanto, può affermarsi che una delle (tante) ragioni sottese a questa riforma sia di carattere squisitamente economico – patrimoniale, poiché non si può sminuire l’importanza e la potenzialità economica del patrimonio costiero nazionale sottraendolo, di fatto, alle regole delle concorrenza: da una parte, infatti, si verificherebbe la violazione dei principi di libera iniziativa economica e di ragionevolezza derivanti da una proroga generalizzata e automatica delle concessioni demaniali e, dall’altra, permarrebbe comunque il contrasto con i principi europei a tutela della concorrenza e della libera circolazione.Avv. Viola Zuddas, Civilista

Secondo le intenzioni del legislatore comunitario e nazionale, eliminare l’automatismo della concessione balneare, dunque, risponde all’esigenza di trovare il miglior concessionario sotto il profilo economico (che si traduce in migliore offerta di servizi e migliore rapporto tra questi e tariffe proposte) e, altresì, a quello di assicurare la maggiore trasparenza nelle scelte amministrative (che dovrebbe incentivare gli investimenti nel nostro Paese). 

In conclusione, dunque, le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative (compresa la moratoria introdotta con l’emergenza da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, D.L. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020) sono in contrasto con il diritto comunitario e, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione. 

Tuttavia, al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere e considerati i tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa che riordini la materia conformemente ai principi comunitari, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E. 

Non resta, quindi, che aspettare l’approvazione del DDL Concorrenza per vedere in che modo il Governo darà attuazione ai principi dettati dal Consiglio di Stato.

Viola Zuddas, Avvocato

Diritto d’autore e fotografia

Il diritto d’autore consiste in una serie di tutele di carattere morale e patrimoniale per l’autore di opere creative, aventi il carattere di originalità e novità. 

I diritti morali sono perpetui e irrinunciabili, salvo alcune eccezioni, mentre quelli patrimoniali sono limitati nel tempo e se ne può disporre. In generale questi ultimi durano quanto la vita dell’autore e fino a 70 anni dopo la sua morte (oppure 20 anni dalla creazione dell’opera come vedremo in seguito). 

Questa distinzione ci permette di separare la figura in esame dal copyright, che è un istituto differente in quanto relativo all’aspetto solamente economico e che nasce a seguito di specifico deposito. Il diritto d’autore invece si acquista con la creazione dell’opera. 

Nel nostro ordinamento, le fonti principali che disciplinano il diritto d’autore sono la legge 633/41 e il libro V titolo IX del Codice Civile, mentre a livello europeo sono state emanate nel tempo diverse direttive. 

Con specifico riferimento alle fotografie, la legge sul diritto d’autore le identifica all’art.2 e separa quelle aventi carattere creativo da quelle non aventi carattere creativo, ossia opere fotografiche e semplici fotografie. Questa distinzione è importante perché è proprio l’aspetto della creatività che genera le piene tutele previste dalla legge, per cui non sono previsti depositi o altri formalismi.Massimo Serra,Fotografo

Nel caso in cui l’opera non raggiunga un certo grado di creatività è comunque prevista una tutela minima, consistente nel diritto esclusivo di diffondere e riprodurre le immagini per 20 anni dalla loro creazione, purché la foto non abbia mera valenza documentativa (come la foto di un cantiere) e siano riportati il nome dell’autore (o in caso foto di opere d’arte, dell’autore della stessa) e l’anno di esecuzione dello scatto (anche nei metadata, in caso di file digitali).

Per riassumere, possiamo individuare quindi 3 categorie: 

  • opere fotografiche, tutelate per tutta la vita dell’autore e fino a 70 dopo la sua morte;
  • fotografie semplici, tutelate per 20 anni dalla loro creazione;
  • riproduzioni fotografiche, prive di tutela. 

Va segnalato che definire con certezza quando sia presente o meno l’aspetto della creatività non è semplice e tale identificazione è demandata al giudice. 

Ad ogni modo, possiamo affermare che in via generale è vietato utilizzare un’immagine altrui a meno che non abbiamo ricevuto esplicita autorizzazione dall’autore (sia per le opere fotografiche che per le semplici fotografie) e senza citarne la paternità. Fanno eccezione le finalità didattiche e di cronaca purché non a scopo di lucro, ma anche qui non esistono linee definite precisamente dalla legge e saranno i giudici a formare il diritto in su tali questioni. È sempre previsto un equo compenso per il fotografo se noto.  

In questo scenario occorrerà analizzare gli specifici profili per evidenziare la lesione dei diritti morali e patrimoniali. 

Il rapido avanzamento delle tecnologie e la celerità con cui le opere possono circolare oggi, in maniera spesso indiscriminata, pongono nuovi e sempre più complessi problemi di tutela. La legge sul diritto d’autore trova difficile applicazione online ed è spesso il formante giurisprudenziale a tracciare il terreno su cui muoversi.  

È capitato a chiunque di scaricare delle fotografie disponibili online e questo può configurare un illecito. Internet è neutro rispetto al contenuto veicolato, il quale può essere protetto dal diritto d’autore. Qualora decidessimo di utilizzare un’immagine reperita sul web senza apposita licenza, potremmo ricevere un semplice invito a rimuovere l’immagine, salvo che l’autore ritenga di aver subito un danno economico inteso come mancato guadagno. L’autore potrebbe però lamentare anche un danno morale nel caso in cui il nostro utilizzo fosse contrario ai suoi principi e valori.  

La condivisione di qualsiasi fotografia sui social network od in genere nel web è da considerarsi lecita quando sia possibile risalire all’autore, nonché alla data e all’eventuale titolo o nome dell’opera fotografica. La stessa pubblicazione sui social da parte dell’autore è infatti espressione manifesta di tale volontà di condivisione e allo stesso tempo rappresenta una presunzione grave, precisa e concordante della titolarità dei diritti fotografici legati all’opera pubblicata (Trib. Roma sent n. 12076/2015).Massimo Serra,Fotografo

Il diritto d’autore si applica anche sulle immagini elaborate, finché l’originale resta riconoscibile. Per poter pubblicare online un’immagine senza alcuna conseguenza occorre accertare, confrontando direttamente le immagini, che nell’elaborazione non sia in alcun modo riconoscibile l’originale oppure serve un diritto di utilizzo con il consenso della modifica all’originale. 

Facendo un esempio possiamo dire che il diritto d’autore è violato e sarà possibile ricorrere per vie legali quando venga pubblicata una nostra foto di paesaggio su una rivista o un giornale senza autorizzazione, anche se sprovvista di logo o firma e pubblicata online. 

Diverso è il caso in cui la nostra fotografia sia pubblicata su alcuni meta che prevedono tra le condizioni generali, spesso accettate in maniera superficiale, anche la possibilità di utilizzo di ciò che noi carichiamo.

Massimo Serra, Fotografo

La fotografia mi ha sempre incuriosito. Ho iniziato a studiarla mentre frequentavo Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Cagliari e una volta conseguita la Laurea ho deciso di dedicarmi totalmente alla mia passione.  

Svolgo la professione di fotografo e video maker freelance da oltre 11 anni in tutta la Sardegna, occupandomi principalmente di interni, commerciale e reportage.  

Collaboro con numerose agenzie estere e locali, professionisti, imprenditori e ho svolto diversi lavori per le Pubbliche Amministrazioni. 

Focus di diritto civile • Avv. Francesco Sanna

Il rafforzamento della tutela del diritto d’autore

Il decreto legislativo del 4 novembre 2021 ha recepito la Direttiva (UE) 2019/790 – cosiddetta “Direttiva Copyright” – sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale. 

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Focus di diritto penale • Avv. Claudia Piroddu

La tutela penale del diritto d’autore

Nell’Ordinamento italiano il diritto d’autore è disciplinato dal codice civile, negli artt. 2575 c.c. e seg., e dalla Legge del 22 aprile 1941 n. 633, che introducono diversi strumenti di tutela, sia in sede civile che in sede penale. 

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Focus di diritto civile • Avv. Viola Zuddas

I non fungible token (NFT) ed il diritto d’autore

I non fungible token (“NFT”) possono essere definiti come dei “gettoni” digitali non fungibili, cioè non riproducibili e quindi non sostituibili perché unici, che garantiscono a chi li possieda un certificato di esistenza e di proprietà scritto sulla blockchain.  

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Focus di diritto dell’Unione Europea • Avv. Eleonora Pintus

Diritti d’autore nel mercato digitale

Come evidenziato anche nell’approfondimento a cura del fotografo Massimo Serra, chiunque crei un’opera letteraria, scientifica o artistica originale, quali articoli, film, canzoni, sculture o anche fotografie, è tutelato dal diritto d’autore o copyright. 

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Quanto è sostenibile lo Smart Working nel lungo periodo?
Domenica 23 Febbraio 2020, direzione Vienna: ricevo comunicazione via mail che il Gruppo UniCredit ha imposto il blocco delle trasferte e constestualmente l’obbligo di attivare l’operatività in remoto.

Il Remote working era facoltativo fino ad 1 giorno alla settimana, ma nella pratica una % minimale della popolazione Operations (insieme di strutture decentrate di circa 4.000 colleghi che svolgono attività amministrative di back-office) usufruiva di questa opzione.

Alcune necessità fondamentali per una transizione in full remote working: messa a disposizione di PC portatile per tutti i dipendenti; dimensionamento dei server per garantire un sistema di accesso in sicurezza per oltre 80.000 utenti connessi contemporanei; garantire il piano di continuità operativa attraverso la gestione dei poli di back-up e la combinazione di attività remotizzabili e non (una % delle attività è per natura paper-based, per cui richiede presenza in ufficio).

A fine Marzo, mentre altre società e istituzioni discutono dell’implementazione dello smart working, UniCredit è operativa con l’intera popolazione remotizzata: un salto quantico in poche settimane.Luca Carta, Group OPS Capacity & Performance Mgmt

Ai meeting ricorrenti sull’emergenza sanitaria, si affiancano gli incontri verticali focalizzati sui risultati di business e sulla produttività operativa delle strutture ICT e Operations.

Il monitoraggio degli indicatori industriali in Operations (volumi, produttività, livelli di servizio, incidenti operativi) è parte della mission del mio team, per cui vi è forte interesse a comprendere le dinamiche complessive e la reazione al remote working dei colleghi, in precedenza non abituati al lavoro da casa.

I risultati sono ottimi: la produttività dei team di lavoro cresce, i livelli di servizio in linea con gli standard, gli errori operativi pressoché nulli.

La disponibilità di strumenti operativi evoluti, di allocazione dinamica di attività-risorse e monitoraggio, rappresenta un elemento essenziale per garantire reportistica giornaliera oggettiva in UniCredit.Luca Carta, Group OPS Capacity & Performance Mgmt

Dopo 2 anni di contesto pandemico, si aprono i dibattiti societari e accademici: questo scenario è sostenibile dal punto di vista sociale e accademico ? Tante risposte discordanti a numerosi quesiti posti nelle varie sfere di analisi.

Per quanto riguarda la mia personale esperienza ed opinione, è possibile affermare con ampia certezza che la produttività equivalente/superiore e la comodità di lavorare da casa rendono lo smart working un vero e proprio asset sia per l’azienda che per il dipendente.

La vera sfida è rappresentata dal contesto normativo e dall’evoluzione dei contratti di lavoro, con l’ipotesi di introdurre meccanismi flessibili di retribuzione/gestione ferie legati alla produttività.Luca Carta, Group OPS Capacity & Performance Mgmt

I risultati dipenderanno dalla disponibilità di tutte le parti in causa, a cooperare e rivedere le proprie posizioni di campo.

Luca Carta, Group OPS Capacity & Performance Mgmt

Ho conseguito la laurea triennale in Economia e Finanza presso l’Università di Cagliari e perfezionato i miei studi all’Università Bocconi di Milano con un master in Finanza.
Nonostante il background accademico incentrato su elementi quantitativi, inizio il percorso lavorativo in ambito consulenziale a carattere ICT e Operations presso Banche, Assicurazioni e Oil&Gas.
Dopo 8 anni di consulenza, intermediati da un’esperienza da start-upper, entro in Cerved, realtà leader in Italia nella Business Information & Rating, con il ruolo di supporto al COO.
Nel Maggio 2019 mi trasferisco in UniCredit per seguire una funzione di governance nelle Operations di Gruppo, con il compito di gestire dinamicamente “capacity e attività”, monitorare gli indicatori industriali e presidiare i contratti con i fornitori italiani di back-office.

Focus di diritto tributario, diritto del lavoro • Avv. Francesco Sanna

Smart working e imposizione fiscale

Lo smart working (“lavoro agile), introdotto nel nostro ordinamento nel 2017, è un fenomeno che si stava già diffondendo, ma che visto la sua definitiva affermazione con l’avvento del Covid-19. 

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Focus di diritto penale • Avv. Claudia Piroddu

Smart working: salute e sicurezza del lavoratore

Il cd. lavoro agile o smart working è disciplinato nella Legge n. 81/2017, rubricata “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.

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Focus di diritto civile, diritto del lavoro • Avv. Viola Zuddas

Smart working e diritto alla disconnessione

Lo smart working (o “lavoro agile”), la cui definizione è contenuta nella Legge n. 81/2017, è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato che si caratterizza per la flessibilità organizzativa riconosciuta al lavoratore che, semplificando, non è sottoposto a particolari vincoli di orario o di luogo di lavoro e può, in accordo con il datore di lavoro, organizzare la propria attività per fasi, cicli e obiettivi.

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Focus di diritto dell’Unione Europea • Avv. Eleonora Pintus

Il diritto alla disconnessione nell’UE: esigenze normative

La digitalizzazione e l’utilizzo adeguato degli strumenti digitali hanno portato numerosi vantaggi e benefici economici e sociali ai datori di lavoro e ai lavoratori, quali, in particolare, quello di migliorare l’equilibrio tra vita professionale e vita privata oltre che la riduzione dei tempi di spostamento.

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La sicurezza dei prodotti cosmetici

Per poter definire la sicurezza di un prodotto cosmetico è necessario fare una premessa: i cosmetici, per loro definizione, non possono provocare effetti nocivi, ma solo effetti benefici per l’organismo.

Ai sensi dell’art.3 del Regolamento 1223/2009, Testo Unico in materia vigente nel territorio europeo, i prodotti cosmetici messi a disposizione sul mercato “sono sicuri per la salute umana se utilizzati in condizioni d’uso normali o ragionevolmente prevedibili”.

La sicurezza dei prodotti cosmetici è, dunque, un requisito essenziale ai fini della loro immissione sul mercato.
Come tale, al fine di garantire tale adempimento, la presentazione non deve essere ingannevole, l’etichetta deve indicare istruzioni d’uso, avvertenze, modalità di smaltimento del prodotto e qualsiasi altra informazione necessaria al consumatore.Lucia Palmas, Farmacista

Appare tuttavia spontaneo chiedersi come, dal punto di vista pratico, venga garantita la sicurezza di un prodotto cosmetico.

Anzitutto, il primo passo verso la sicurezza è garantito dal soddisfacimento delle GMP, Buone Pratiche di Fabbricazione. Trattasi di un insieme di processi, procedure e documenti, che le aziende cosmetiche sono tenute a rispettare in conformità al predetto Regolamento e che assicurano che i cosmetici siano prodotti secondo gli standard di qualità previsti dalla normativa vigente.

In secondo luogo, è necessario l’intervento di un soggetto deputato al controllo preventivo all’immissione in commercio dei prodotti cosmetici
Questi, nella specie, deve assicurarsi che i prodotti siano previamente sottoposti ad una valutazione della sicurezza.
Lucia Palmas, Farmacista

La relazione sulla sicurezza consta di due parti:

  • la prima include le caratteristiche tecniche del prodotto;
  • la seconda parte è, invece, la vera e propria valutazione della sicurezza effettuata da un “valutatore della sicurezza”, ossia un soggetto dotato di competenze tecniche, titoli ed esperienza necessari per effettuare questo tanto tecnico quanto delicato test di valutazione.

Il valutatore, dunque, è chiamato a redigere la relazione in seguito allo studio del prodotto, spiegando la motivazione scientifica alla base delle conclusioni della valutazione, le conclusioni ed eventuali avvertenze da riportare in etichetta; infine firma il tutto con data e luogo.

Questo documento viene inserito nel PIF, Product information file, che contiene le informazioni sul prodotto cosmetico e viene detenuto dalla persona responsabile nell’eventualità in cui le autorità possano richiederlo.

In questa fase assume un ruolo particolarmente rilevante un organo della Commissione Europea, il “CSSC”, Comitato Scientifico per la Sicurezza dei Consumatori, il quale si occupa di esprimere pareri in materia non alimentare, e quindi anche cosmetica, a seguito di espressa richiesta da parte della Commissione Europea.
Dopo aver effettuato la valutazione del rischio della sostanza in esame, il Comitato può alternativamente esprimere parere positivo, legittimando l’utilizzo della sostanza, oppure parere negativo, con conseguente richiesta di intervento della Commissione Europea affinché ne vieti o limiti l’uso.Lucia Palmas, Farmacista

Dagli anni ‘70 questa istituzione ha valutato tantissimi ingredienti cosmetici al fine di garantire la loro sicurezza e permettendo l’aggiornamento degli allegati al Regolamento relativi alle sostanze vietate o il cui uso è limitato.

Un altro aspetto che garantisce la sicurezza dei prodotti è dato dalla fitta rete di sorveglianza post market che viene attuata in ogni Stato dagli organi preposti. In Italia, ad esempio, questo compito è svolto dal Ministero della salute che incarica gli organi territorialmente competenti, ossia NAS e ASL.

Questi ultimi possono, nell’ambito della loro attività ispettiva: richiedere la documentazione informativa sul prodotto alla persona responsabile; disporre il ritiro di lotti interessati da eventuali discrepanze; effettuare analisi e cooperare con le autorità di altri Stati membri qualora sia necessario.

In questo ambito si colloca la Cosmetovigilanza la quale costituisce la raccolta, valutazione e monitoraggio delle segnalazioni di effetti indesiderabili osservati durante o dopo l’utilizzo normale o ragionevolmente prevedibile di un prodotto cosmetico. Ciò è particolarmente rilevante in quanto, qualora un prodotto dovesse provocare effetti indesiderati in una parte notevole della popolazione, scatta l’allerta per CSSC che studierà il caso, con conseguente adozione di adeguati provvedimenti da parte della Commissione.

Come si può notare, il sistema che garantisce la sicurezza dei prodotti cosmetici è molto complesso ed efficiente.

In ogni caso, è sempre opportuno che il consumatore utilizzi i prodotti cautamente e secondo le indicazioni riportate in etichetta.

Lucia Palmas, Farmacista

Mi sono laureata in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche presso l’Università di Cagliari con una tesi sull’utilizzo di principi attivi estratti da agrumi autoctoni come antibatterici.
Ho conseguito l’abilitazione alla professione di farmacista e in seguito al mio percorso di studi ho svolto alcune esperienze professionali e accademiche all’estero, prima in Spagna (Oviedo) presso una start up di biotecnologie con applicazioni nel campo farmaceutico e cosmetico, poi in Argentina presso la rinomata “Universidad de Buenos Aires, facultad de farmacia” presso cui ho svolto attività di ricerca per lo sviluppo di una terapia antitubercolare.
Ho, inoltre, pubblicato come co-autore un articolo scientifico nella rivista “Molecules”.
Attualmente sono una specializzanda al secondo anno presso COSMAST, Master in Scienza e Tecnologia Cosmetiche dell’Università di Ferrara.

Focus di diritto tributario • Avv. Francesco Sanna

Aliquota IVA applicabile alle cessioni dei prodotti cosmetici

In ordine all’ambito di applicazione dell’articolo 124 del decreto Rilancio, si specifica che con la locuzione ‹‹detergenti disinfettanti per mani›› il legislatore ha voluto far riferimento ai soli prodotti per le mani con azione disinfettante (i.e. biocidi e presidi medico-chirurgici), soggetti alla preventiva autorizzazione delle autorità competenti. I comuni igienizzanti/detergenti per le mani, per i quali non è prevista alcuna specifica autorizzazione, non possono dunque considerarsi ricompresi nell’elenco di cui all’articolo 124 del decreto in esame, in quanto non svolgono un’azione disinfettante, limitandosi a rimuovere lo sporco e i microrganismi in esso presenti.

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Focus di diritto penale • Avv. Claudia Piroddu

La disciplina penale italiana in materia di prodotti cosmetici

Con il Decreto legislativo n. 204 del 4 dicembre 2015, rubricato “Disciplina sanzionatoria per la violazione del regolamento n. 1223/2009 sui prodotti cosmetici”, sono state introdotte sanzioni di natura penale ed amministrativa per le violazioni degli obblighi derivanti dalla normativa europea, in materia di fabbricazione, produzione, distribuzione e messa in commercio di prodotti cosmetici.

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Focus di diritto civile, tutela della persona • Avv. Viola Zuddas

Cosmetici e sperimentazione sugli animali

Per prodotto cosmetico, ai sensi dell’art. 2 del Regolamento CE n.1223/2009 (per leggerlo per intero cliccare il seguente link: eur-lex.europa.eu ) si intende «qualsiasi sostanza o miscela destinata ad essere applicata sulle superfici esterne del corpo umano (epidermide, sistema pilifero e capelli, unghie, labbra, organi genitali esterni) oppure sui denti e sulle mucose della bocca allo scopo esclusivamente o prevalentemente di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, proteggerli, mantenerli in buono stato o correggere gli odori corporei».

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Focus di diritto dell’Unione Europea • Avv. Eleonora Pintus

Sostanze vietate dal 1° marzo 2022: obblighi e responsabilità

Come ben evidenziato dalla Dott.ssa Lucia Palmas nel focus dal Titolo “La sicurezza dei prodotti cosmetici”, la commercializzazione dei prodotti cosmetici nel territorio dell’Unione Europea soggiace ad una disciplina particolarmente stringente in materia di sicurezza.
A tal riguardo, meritano di essere trattate le recenti novità legislative introdotte dal Regolamento (UE) 2021/1902 che modifica proprio gli allegati II, III e V del regolamento (CE) n. 1223/2009 .

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Dopo la sentenza n. 257/21 con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Sardegna 13 luglio 2020, n. 21 di cui abbiamo trattato qualche tempo fa (clicca qui per un approfondimento: www.forjus.it), la Corte Costituzionale è tornata ad esprimersi sulla pianificazione urbanistica comunale (in particolare per ciò che concerne il cosiddetto “Piano Casa”) e quella paesaggistica operata dalla Regione Sardegna. 

Anche in questo caso, la vicenda prende le mosse dal ricorso promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri avente ad oggetto delle previsioni della Regione Sardegna che derogherebbero alla pianificazione urbanistica comunale e a quella paesaggistica e agevolerebbero «la massiccia trasformazione edificatoria del territorio, anche in ambiti di pregio», con il conseguente «grave abbassamento del livello della tutela del paesaggio». 

La posizione del Governo

Il ricorso presentato dall’avvocatura Generale dello Stato è piuttosto complesso ed è articolato in molteplici motivi di impugnazione riguardanti diversi articoli della legge della Regione Sardegna 18 gennaio 2021, n. 1, recante “Disposizioni per il riuso, la riqualificazione ed il recupero del patrimonio edilizio esistente ed in materia di governo del territorio. Misure straordinarie urgenti e modifiche alle leggi regionali n. 8 del 2015, n. 23 del 1985, n. 24 del 2016 e n. 16 del 2017”. 

Senza voler entrare eccessivamente nel dettaglio, ciò che accomuna e fonda tutti i motivi di impugnazione è il convincimento che la Regione avrebbe esercitato unilateralmente la propria potestà legislativa statutaria nella materia edilizia e urbanistica, sottraendosi all’obbligo di copianificazione con lo Stato. 

Sul punto è importante ricordare che il coordinamento tra Stato e Regione è necessario, soprattutto, quando vengano in rilievo interessi generali riconducibili alla competenza esclusiva statale nella materia della conservazione ambientale e paesaggistica. 

Come si legge nella premessa del ricorso, inoltre, l’avvocatura Generale dello Stato ricorda che l’art. 3, lettera f) dello Statuto speciale per la Sardegna attribuisce alla Regione la potestà legislativa nella materia edilizia e urbanistica che comprende anche la «pianificazione del paesaggio in senso lato», ma la assoggetta al rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, come quelle dettate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio. 

Per ragioni legate alla complessità del ricorso e della sentenza, in questo articolo ci soffermeremo unicamente sulle impugnazioni aventi ad oggetto le disposizioni relative al cosiddetto “Piano Casa”, che riguardano principalmente la proroga del termine per completare le edificazioni e, altresì, la possibilità di incrementi volumetrici al di fuori delle prescrizioni del piano paesaggistico. 

Per quanto riguarda il primo aspetto controverso, deve ricordarsi che originariamente il termine per completare le edificazioni in zona agricola «nei casi in cui non sarebbe possibile ottenere il rinnovo del titolo edilizio ormai divenuto inefficace, a causa di una sopravvenuta disciplina pianificatoria incompatibile» era fissato al 31 dicembre 2020, mentre l’impugnata disposizione della Regione Sardegna disporrebbe la proroga del termine alla data del 31 dicembre 2023. 

Secondo la difesa statale, dunque, la Regione avrebbe violato le norme fondamentali di riforma economico-sociale di competenza legislativa esclusiva dello Stato soprattutto per quanto riguarda la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni valevoli sull’intero territorio nazionale», salvando dalla decadenza del titolo edilizio nel caso di mancato rispetto dei termini per l’ultimazione delle opere. 

Per quanto riguarda il secondo aspetto controverso, ovvero quello legato alla possibilità di incrementi volumetrici, secondo l’avvocatura Generale dello Stato la Regione avrebbe travalicato i limiti della propria competenza, ponendo in essere un’attività non rispettosa del principio di leale collaborazione poiché avrebbe permesso incrementi volumetrici eludendo il piano paesaggistico regionale (il cosiddetto P.P.R.) «e potenzialmente in deroga ad esso», anche per quanto riguarda le strutture destinate all’esercizio di attività turistico-ricettive, sanitarie e socio-sanitarie», pure in aree vincolate. 

La posizione della Regione

La Regione Sardegna, costituitasi in giudizio, ha chiesto di dichiarare improcedibili, inammissibili, irricevibili o comunque non fondate le questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri. 

Si sostiene, infatti, che non venga adeguatamente valorizzata la potestà legislativa che compete alla Regione autonoma della Sardegna nella materia dell’edilizia e dell’urbanistica, con riguardo anche a profili di tutela paesistico-ambientale, rispetto alla quale la medesima ha il potere / dovere di redazione ed approvazione dei piani paesaggistici. 

Per quanto riguarda il primo aspetto controverso, ovvero la proroga al 2023 del termine per completare le edificazioni, la Regione afferma l’inammissibilità dell’eccezione sul presupposto che non sarebbe stata richiamata puntualmente la normativa oggetto di proroga e ciò non consentirebbe di conoscere il reale fondamento delle censure mosse. 

Per quanto riguarda il secondo aspetto controverso, ovvero quello concernente gli incrementi volumetrici, la legislazione statale non vieterebbe di computare i volumi condonati e, pertanto, dalla previsione impugnata dal Governo non deriverebbe alcun ampliamento volumetrico in deroga alla pianificazione paesaggistica, posto che la Regione ben potrebbe intervenire anche sulla disciplina del paesaggio medesimo. 

Inoltre, il legislatore regionale consentirebbe unicamente l’ultimazione di edifici legittimamente realizzati nel rispetto degli standard urbanistici vigenti per le zone agricole, mentre sarebbero escluse le aree contraddistinte da pericolosità idraulica o da frana elevata o molto elevata, o gravate da un vincolo di inedificabilità assoluta: pertanto, la Regione non avrebbe travalicato i limiti di sua competenza né, tantomeno, derogato alle prescrizioni del piano paesaggistico regionale che riguarderebbero tutt’altri beni. 

La decisione della Corte Costituzionale

Con la sentenza n.24/2022, la Corte Costituzionale ha respinto le eccezioni preliminari sollevate dalla Regione in ordine alla presunta intempestività del ricorso proposto ed ha accolto parte dei motivi di impugnazione proposti nel ricorso presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri. 

La sentenza si presenta piuttosto lunga ed articolata (cliccando il seguente link è possibile leggerla per intero: www.cortecostituzionale.it) e nel suo dispositivo esamina, in primo luogo, le questioni di legittimità costituzionale che attengono alla normativa edilizia e urbanistica e poi quelle che attengono alla normativa regionale che interferisce in misura prevalente con la tutela paesaggistica. 

Per quanto riguarda le prime, nell’esercizio della competenza primaria nella materia edilizia e urbanistica la Regione autonoma Sardegna incontra un doppio limite: quello delle previsioni contenute nel Testo Unico dell’edilizia e quello, ancor più significativo, della tutela ambientale, garantita dalla normativa statale e realizzata attraverso la redazione dei piani paesaggistici.Avv. Viola Zuddas, Civilista

Per questo motivo, le doglianze sollevate dal Governo con l’impugnazione delle disposizioni relative al cosiddetto “Piano Casa” sono fondate. 

Infatti, l’art. 15 del T.U. dell’edilizia disciplina l’efficacia temporale e la decadenza del permesso di costruire: quest’ultimo decade quando i lavori non siano cominciati entro un termine che non può essere superiore a un anno dal rilascio del titolo, o non siano ultimati entro un termine che non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. 

Nel delimitare l’arco temporale di validità dei titoli edilizi, la normativa statale detta standard uniformi e si rivela di cruciale importanza in un ordinato governo del territorio, che non può tollerare difformità tra Regioni con riguardo all’aspetto prioritario della durata e dell’efficacia dei titoli edilizi. 

La normativa regionale, infatti, nel prolungare i termini entro i quali è possibile richiedere il permesso di costruire per completare le costruzioni nelle zone agricole, anche quando il titolo sia decaduto e non possa essere rinnovato, deroga in maniera indiscriminata alla decadenza sancita dalla legislazione statale, senza richiedere le tassative condizioni individuate dal T.U. dell’edilizia. 

In questa prospettiva, si può cogliere come le disposizioni regionali siano lesive delle prescrizioni statali che si pongono come norme fondamentali di riforma economico-sociale che, in quanto tali, vincolano la potestà legislativa primaria della Regione autonoma Sardegna nella materia dell’edilizia e dell’urbanistica. 

Per quanto riguarda le questioni di legittimità costituzionale che attengono alla normativa regionale che interferisce in misura prevalente con la tutela paesaggistica, la Corte Costituzionale afferma che il sistema della pianificazione paesaggistica, che deve essere salvaguardato nella sua impronta unitaria e nella sua forza vincolante, rappresenta attuazione dell’art. 9 Cost. ed è funzionale a una tutela organica e di ampio respiro, che non tollera interventi frammentari e incoerenti.Avv. Viola Zuddas, Civilista

La peculiarità del bene giuridico ambiente, nella cui complessità ricade anche il paesaggio, «riverbera i suoi effetti anche quando si tratta di Regioni speciali o di Province autonome», con l’ulteriore precisazione, però, che qui occorre tener conto degli statuti speciali di autonomia. 

Lo statuto speciale attribuisce alla Regione autonoma Sardegna la potestà legislativa primaria nella materia «edilizia ed urbanistica», nella quale è espressamente ricompresa «la redazione e l’approvazione dei piani territoriali paesistici» fermo restando, però, il vincolo per la Regione al rispetto del principio di co-pianificazione. 

È, dunque, precluso al legislatore regionale derogare alle prescrizioni del piano paesaggistico senza una previa rideterminazione dei suoi contenuti con lo Stato. 

Viola Zuddas, Avvocato

Sport e Pandemia: la capacità del non arrendersi mai

Ricordo ancora le emozioni dei giorni in cui i notiziari parlavano del dilagare di una nuova malattia in Cina, di cui era responsabile la variante di un Virus che già tempo addietro aveva messo in ginocchio la popolazione mondiale. 

I pensieri comuni erano per la gran parte “Tanto è lontano, non arriverà mai da noi”, “è solo un’influenza” “In Europa siamo molto più attenti all’igiene: figuriamoci se qui può svilupparsi”. 

Ma non avevamo ancora finito di pronunciare queste frasi, che il primo caso Covid venne verificato anche in Italia. 

La convinzione di restare al di fuori dell’influenza del virus era talmente forte che, non appena ci siamo resi conto che aveva colpito anche noi, si è trasformata in terrore. 

Lo sport che insegno ormai da anni, il CrossFit, si è sempre svolto all’interno di posti grandi, areati e dotati di attrezzatura ad uso individuale per i Workout (gli allenamenti) previsti durante l’ora di lezione. Nonostante questo, anche adottando maggiori accorgimenti legati alla pulizia degli attrezzi e dei locali, e un maggiore contingentamento degli allievi, non potevamo garantire al 100% le interferenze tra le persone: siamo una Community, lo Sport è l’emblema della socialità e il nostro compito e dovere come allenatori, è quello di tutelare la salute dei nostri allievi a 360 gradi. 

Cosicché, prima ancora che venisse espressamente emanato un Decreto che ce lo imponesse, abbiamo deciso, per senso di responsabilità, di chiudere; ma quello che avremmo pensato sarebbe durato una sola settimana, si è trasformato in un tempo indefinito. 

Uno degli insegnamenti che attraverso il CrossFit trasmettiamo ai nostri allievi, è lo sviluppo della capacità di adattamento alle situazioni e ai cambiamenti, cercando in ogni modo di uscire e non stallare nella propria routine ma piuttosto di essere pronti per ciò che non si conosce e non si può comprendere (prepare for the Unknown and the unknowable). Così, dopo un primo momento di disorientamento e tentativi disordinati di fare allenamenti in videochiamata, ci siamo organizzati e abbiamo iniziato le nostre lezioni online attraverso l’uso di piattaforme studiate apposta per consentire l’incontro simultaneo, a distanza, di un alto numero di utenti. 

La risposta è stata incredibile e gratificante: in un momento in cui sembravamo aver perso tutto, ecco che avevamo qualcosa; in un momento in cui per la maggior parte di noi la vita si alternava tra letto, tavola, divano e serie TV, la nostra giornata era nuovamente scandita da un momento di attività e socialità, attraverso le classi online. 

Questo non solo ci ha permesso di restare uniti, ma ha rafforzato i legami tra noi e i nostri ragazzi. Loro ci hanno sostenuto in tutti i modi, ci hanno appoggiato e non ci hanno mai abbandonato, ripagando tutti gli sforzi compiuti per difendere gli obiettivi del nostro lavoro: garantire la loro sicurezza, salvaguardare la loro salute ed educarli a trovare, in ogni situazione, la forza, la volontà e il modo di prendersi cura di sé. 

Nonostante alla fine siamo risultati essere uno dei primi settori ad aver chiuso in entrambi i lockdown, uno degli ultimi ad essere coinvolti nella riapertura e siamo stati costretti a lavorare all’aperto con l’adozione dei colori delle Regioni, mettendo mano ai risparmi per poter adattare il nostro lavoro alle norme in continuo cambiamento che ci sono state imposte, abbiamo saputo reagire ogni volta nel pieno rispetto delle regole e della tutela dei nostri iscritti.

Laura Macciò, Istruttrice FIDAL & FIPE L1, CF – L2 

Da sempre nel mondo dello sport, dopo una Laurea in Ingegneria, ho cominciato a lavorare nel settore del Fitness dove opero ormai da 15 anni. 

Ho conseguito il primo Livello come allenatrice di Atletica Leggera e Sollevamento Pesi nelle rispettive federazioni Coni, nonché le Certificazioni ufficiali per diventare Trainer CrossFit. 

Questo altro non è che un programma di rafforzamento e condizionamento fisico mirato ad acquisire benessere completo e generale. E’ definito “lo sport del fitness” e consiste nello svolgere “movimenti funzionali ad alta intensità costantemente variati”. 

Attualmente insegno a Nettuno in provincia di Roma, al Box certificato CrossFit 4112. 

Credo fermamente in quello che faccio perché, attraverso il CrossFit, riesco ogni giorno a portare le persone che alleno a compiere un passo verso il loro miglioramento e il superamento dei propri limiti. Questo metodo infatti, grazie alla adattabilità e versatilità dei movimenti che utilizza, permette di allenarsi a chiunque e in qualsiasi condizione (non solo in termini di condizioni fisiche, ma anche di livello di Fitness generale). 

Focus di diritto tributario • Avv. Francesco Sanna

Il regime fiscale delle ASD e SSD

Il D. Lgs. 28 febbraio 2021, n. 36, intitolato “riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi dilettantistici e professionisti e in materia di lavoro sportivo” e la cui entrata in vigore è – in parte – stata rinviata, definisce l’associazione e la società sportiva dilettantistiche come quel soggetto giuridico, affiliato ad una Federazione sportiva nazionale, ad una Disciplina sportiva associata o ad Ente di promozione sportiva, che svolge, senza scopo di lucro, attività sportiva nonché la formazione, la didattica, la preparazione e l’assistenza all’attività sportiva. 

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Focus di diritto penale • Avv. Claudia Piroddu

Sport e carcere

Come abbiamo visto nel Focus a cura di Laura Macciò, la pandemia ha avuto delle ripercussioni gravissime anche nel settore dello sport, tanto per gli operatori –che per lunghi periodi hanno dovuto cessare qualsiasi attività in presenza– quanto in termini di salute psicofisica di chi lo pratica. 

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Focus di diritto civile • Avv. Viola Zuddas

Lo sport per l’inclusione e l’uguaglianza di genere

Noi tutti sappiamo che lo sport è uno degli strumenti più importanti che abbiamo a disposizione per migliorare la nostra condizione fisica e psicologica e, in generale, la salute: l’attività fisica, infatti, riveste un ruolo primario di tipo preventivo e, altresì, terapeutico nel trattamento di alcune condizioni e patologie. 

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Focus di diritto dell’Unione Europea • Avv. Eleonora Pintus

Ue e sport: i finanziamenti del 2022

Lo sport è uno dei settori di più recente intervento dell’Unione Europea. 
La sua competenza in materia non è di carattere esclusivo ma diretto a sostenere e rafforzare quella dei singoli Stati membri. 

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Nella giornata tra il 23 ed il 24 febbraio, le truppe russe hanno invaso l’Ucraina dopo che, nella notte precedente, era giunto l’ordine di attacco del presidente Vladimir Putin che, in un messaggio televisivo, aveva spiegato di aver autorizzato «un’operazione speciale» in Ucraina per «smilitarizzare il Paese» e «proteggere il Donbass». 

Il Donbass è un’area mineraria sita nella parte orientale dell’Ucraina confinante con la Russia e in cui la maggior parte della popolazione è di etnia e lingua russa: nel 2014, milizie armate filo-russe hanno invaso quest’area ed hanno proclamato le regioni di Donetsk e Lugansk “repubbliche indipendenti”. 

La posizione della Russia

Qualche giorno fa, il presidente Putin – in violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina – ha riconosciuto le regioni separatiste annettendole, di fatto, alla Russia ed inviando le proprie truppe per difenderne i confini. 

Uno degli obiettivi del presidente russo è quello di assicurarsi che la Russia abbia un ruolo di superpotenza globale negli affari internazionali, attraverso la ricostituzione dell’influenza di Mosca sulle ex repubbliche sovietiche. 

Per fare ciò, però, secondo il Cremlino è necessario proteggere la Russia con degli “stati cuscinetto” che la difendano dalla presenza della Nato che si è fatta sempre più pressante lungo i suoi confini. 

La Nato, infatti, eroga aiuti finanziari e armamenti all’Ucraina che – secondo quanto dichiarato dallo stesso Putin – rappresenterebbe una reale minaccia strategica per la Russia poiché non solo ha competenze nucleari molto vaste in termini di reattori, tecnologia, ecc. ma, altresì, ha diversi missili in dotazione. 

Così il Cremlino, prima dell’ordine d’attacco di Putin, aveva presentato una bozza d’accordo alla Nato (oltre che agli USA) che prevedeva, da una parte, che l’Alleanza Atlantica mettesse fine alla sua espansione a Est e vietasse future adesioni di ex stati sovietici tra cui l’Ucraina, e, dall’altra, la demilitarizzazione di quest’ultima.  

Tuttavia, nonostante gli sforzi diplomatici profusi negli scorsi giorni, non è stato possibile raggiungere alcun accordo nei termini imposti da Putin, in quanto, come si apprende dalle dichiarazioni rilasciate dal generale della Nato Stoltenberg, l’Ucraina stessa dovrebbe avere il diritto / potere di decidere in autonomia se aderire alla Nato, avviando la relativa procedura, e se smilitarizzarsi. 

Pertanto, alcuna decisione in tal senso può essere assunta dalla Nato né, tantomeno, può essere imposta dalla Russia. 

La posizione dell’Ucraina

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato che la democrazia è stata colpita nella propria legittima sovranità e, nonostante ciò, ha preso l’impegno di non utilizzare la forza militare per replicare agli attacchi della Russia ma solamente per difendere la propria popolazione.
Per fare ciò, ha chiesto agli stati europei interventi multipli per sostenere l’Ucraina.
Quest’ultima, infatti, ha bisogno non soltanto di sostegno tecnico-militare per contrastare le truppe avversarie ed isolare la leadership russa ma, altresì, economico affinché il Cremlino possa subire dure sanzioni che ne blocchino, di fatto, l’economia. 

La risposta dell’UE

L’UE ha fortemente condannato l’attacco russo, definendolo «ingiustificato, ingiustificabile e non provocato» e, pur riconoscendo Putin come unico responsabile, si è sempre dimostrata intenzionata a cercare una soluzione pacifica alla crisi che – secondo la presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen – mira alla stabilità dell’Europa e dell’intero ordine internazionale. 

Per questo motivo, l’UE e gli Alleati della Nato si sono coordinati per potenziare immediatamente le misure di sicurezza sul fianco Est dell’Alleanza ed hanno rafforzato il contributo allo spiegamento militare in favore di tutti i Paesi Alleati più direttamente esposti. 

Intanto, in queste ore è in corso la riunione virtuale del G7 alla quale parteciperà anche il segretario generale della Nato Stoltenberg e nella quale verrà deciso un pacchetto di sanzioni molto dure nei confronti della Russia. 

In particolare, la presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen ha anticipato – nella conferenza stampa tenuta insieme alle più alte cariche UE – che «Cercheremo di bloccare i vari settori dell’economia russa, dalla tecnologia alla strategia di mercato; cercheremo di bloccare la capacità di ammodernamento della Russia e congeleremo i vari asset della Russia nell’Unione europea e chiuderemo l’accesso alle banche europee e ai mercati finanziari da parte della Russia».  

La reazione dell’Italia

Nella serata di ieri, vi è stata un’intensa riunione del Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, presieduto dal presidente del Consiglio, cui è stato conferito pieno mandato per una risposta dura in ambito UE che, come sopra precisato, si muoverà principalmente sul piano delle sanzioni economiche. 

Il Premier, durante la conferenza stampa tenutasi nella giornata del 24 febbraio, ha affermato che «il Governo italiano condanna l’attacco della Russia all’Ucraina» e che «l’Italia è vicina al popolo e alle istituzioni ucraine in questo momento drammatico. Siamo al lavoro con gli alleati europei e della Nato per rispondere immediatamente, con unità e determinazione». 

Il Presidente del Consiglio ha, anche, precisato che l’ambasciata italiana a Kiev, che pure è in massima allerta, è comunque pienamente operativa e, nel coordinarsi con le altre ambasciate, mantiene i rapporti con le autorità ucraine per tutelare i circa 2000 italiani residenti.

Viola Zuddas, Avvocato

Con la sentenza n. 257/21, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Sardegna 13 luglio 2020, n. 21, recante “Norme di interpretazione autentica del Piano paesaggistico regionale”, il cosiddetto “P.P.R.”, attraverso il quale la Regione aveva dato avvio ad iniziative unilaterali in ordine alla pianificazione del territorio sardo, interessandosi in particolare al tratto costiero dell’asse viario Sassari-Alghero ritenuto di preminente interesse per lo sviluppo economico dell’isola. 

La vicenda prende le mosse dal ricorso promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri che, appunto, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della predetta Legge, eccependo che le iniziative assunte dalla Regione Sardegna – oltre a violare il principio di leale collaborazione tra Stato e Regione – eccederebbero «l’ambito della competenza statutaria della Regione autonoma della Sardegna» e contrasterebbero con gli artt. 3, 9, 117, commi primo – quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)-, e secondo, lettera s), della Costituzione.  

Secondo l’Avvocatura Generale dello Stato, quindi, l’interpretazione data dalla Regione Sardegna sarebbe contrastante con il principio della leale collaborazione, che deve permeare i rapporti con lo Stato, e per di più potrebbe in concreto causare un allargamento delle maglie dei vincoli urbanistici e paesaggistici, consentendo edificazioni e incrementi volumetrici con grave danno per il territorio. 

Cos’è il Piano Paesaggistico?

Prima di esaminare più accuratamente la vicenda, è opportuno fare chiarezza sul Piano Paesaggistico Regionale. 

Ebbene, sul sito della Regione Sardegna (clicca il link per un approfondimento:sardegnaterritorio.it) si legge che il P.P.R. nasce per la difesa dell’ambiente e del territorio e consiste in un moderno quadro legislativo che guida e coordina la pianificazione e lo sviluppo sostenibile dell’isola partendo dalle sue coste.  

Nello specifico, il P.P.R. persegue il fine di preservare, tutelare, valorizzare e tramandare alle generazioni future l’identità ambientale, storica, culturale e insediativa del territorio sardo; proteggere e tutelare il paesaggio culturale e naturale e la relativa biodiversità; assicurare la salvaguardia del territorio e promuoverne forme di sviluppo sostenibile al fine di conservarne e migliorarne le qualità.Avv. Viola Zuddas, Civilista

Affinché ciò avvenga nel modo migliore possibile, è imposta la pianificazione congiunta tra Regione e Ministero della cultura (“MiC”) per la tutela di alcuni beni ritenuti di interesse storico, culturale, archeologico e paesaggistico: in questo modo si dà attuazione a regole uniformi e condivise con il Governo centrale, sulla scorta del combinato disposto degli artt. 9 e 17 della Costituzione e del Codice dei beni culturali e del paesaggio. 

La posizione del Governo

Per ciò che riguarda la vicenda in oggetto, è bene precisare che l’art. 1, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 21 del 2020 si occupa specificamente della disciplina della fascia costiera (considerata bene paesaggistico vincolato), per la cui pianificazione è necessaria una stretta collaborazione tra Stato e Regione che si inserisce in un progetto più ampio di pianificazione congiunta dell’intero territorio sardo. 

Secondo il Governo, la Regione avrebbe travalicato le proprie competenze statutarie, sottraendo unilateralmente alla copianficazione obbligatoria il tratto costiero dell’asse viario Sassari-Alghero che, come noto, riveste un ruolo strategico nel territorio insulare regionale, in quanto è a fortissima vocazione turistica. 

Detto tratto, peraltro, è inserito in un contesto ritenuto di particolare fragilità paesaggistica e dunque rientra tra i beni individuati dal P.P.R. e sottoposti – proprio per la loro natura di “beni paesaggistici” – a tutela individuale e mirata. 

Ebbene, in considerazione delle caratteristiche sopra richiamate, a parere del Governo, la Regione avrebbe anche sconfinato nella competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, poiché avrebbe inteso disciplinare autonomamente – e, dunque, non in maniera condivisa – la pianificazione dell’asse viario Sassari-Alghero, con un generale abbassamento di tutela che sarebbe stato potenzialmente idoneo ad incidere in maniera significativamente negativa sulle prospettive di sviluppo e turismo davvero sostenibili. 

La posizione della Regione  

La Regione Sardegna, invece, ha respinto le censure mosse dal Governo muovendo da quella che viene definita “interpretazione autentica” della Legge Regionale. 

In particolare, il legislatore regionale ha inteso sottrarre all’obbligo di pianificazione condivisa l’asse viario Sassari-Alghero sul presupposto che, attraverso la realizzazione di quattro corsie nello sviluppo geometrico del lotto n. 1, avrebbe creato «un’infrastruttura determinante per assicurare lo sviluppo sostenibile del territorio», dotata di «carattere strategico» e contraddistinta da «preminente interesse nazionale e regionale». 

Nelle intenzioni della Regione, inoltre, tale infrastruttura sarebbe dovuta essere conforme alle pregresse valutazioni di impatto ambientale e autorizzazioni paesistico-ambientali e, pertanto, non avrebbe arrecato alcun nocumento al territorio. 

Detti motivi, dunque, a parere della Regione sarebbero stati sufficienti per derogare alla disciplina del P.P.R. e per di più, data la loro importanza, le avrebbero consentito di esimersi dal coordinamento con il Governo. 

La decisione della Corte Costituzionale  

La Corte Costituzionale ha accolto il ricorso presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Sardegna 13 luglio 2020, n. 21. 

A giudizio della Corte, infatti, l’adeguamento unilaterale del P.P.R. da parte della Regione Sardegna è dissonante rispetto al percorso prefigurato dal legislatore statale e originariamente condiviso con la stessa Regione, poiché contravviene al principio di leale collaborazione, il cui rilievo è confermato dallo stesso legislatore nazionale come norma di riforma economico – sociale che vincola l’autonomia speciale.Avv. Viola Zuddas, Civilista

Ricorda, la Corte, che le intese intercorse tra Regione e Stato erano proprio volte ad un’adeguata tutela e valorizzazione del paesaggio, funzionale ad una più ampia ed efficace salvaguardia dell’ambiente che, necessariamente, richiede la copianificazione degli interventi sul territorio soprattutto (ma non solo) quando questi ricadano su beni di interesse paesaggistico e, perciò, vincolati.

Viola Zuddas, Avvocato

Superbonus: lo strumento green per la ripartenza economica

Nel mio precedente Focus (clicca qui per leggerlo: Le caratteristiche principali del superbonus 110) ho chiarito quali siano le caratteristiche principali del Superbonus110%, ovvero l’agevolazione statale – introdotta dal Governo Conte – che permette di detrarre tutte le spese affrontate per lavori di efficientamento energetico con un’aliquota del 110%. 

Si tratta, come evidente, di uno strumento finalizzato a rilanciare rapidamente il comparto dell’edilizia poiché rappresenta per tutte le figure coinvolte nel processo edilizio (dal committente ai progettisti, dagli impresari agli istituti di credito) un’ottima opportunità per eseguire, a costi contenuti, degli specifici interventi sugli immobili. 

Questo strumento, però, non è stato attuato solo per consentire la ripresa dell’economia ma, anche, per rispondere alle importanti sfide climatiche ed ambientali previste per il settore civile dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima.Carlo Murtas, Architetto

Difatti, secondo quanto sostenuto dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri On. Riccardo Fraccaro (clicca qui per il suo intervento completo: https://www.governo.it/it/articolo/superbonus-la-chiave-la-ripartenza-green/15950) non è più possibile immaginare una crescita economica fondata sull’abuso e lo spreco di risorse e quindi, in concreto, non sostenibile. 

Per questo motivo, il Governo Conte ha introdotto lo strumento del Superbonus 110% con il quale far fronte alle necessità economico – produttive del Paese nel rispetto delle esigenze di sostenibilità non più differibili. 

Ma in che modo il Superbonus 110% può essere considerato uno strumento green? 

Il Superbonus 110% è stato definito “la chiave della ripartenza green del Paese” perché, attraverso la previsione della detrazione con aliquota del 110%, incentiva l’esecuzione di interventi di riqualificazione energetica e sismica di edifici residenziali. 

Relativamente a questi è stato precisato da diverse circolari dell’Agenzia delle Entrate che, considerata l’assenza di specifiche indicazioni normative, si deve ritenere che la categoria degli interventi di riqualificazione energetica comprenda qualsiasi intervento, o insieme sistematico di interventi, che incida in positivo sulla prestazione energetica. 

In sostanza, quindi, è richiesto che venga realizzata la maggior efficienza energetica prevista dalla norma che, semplificando, si traduce nella riduzione di almeno due classi energetiche rispetto alla situazione ante intervento. 

La classe energetica di un determinato appartamento o edificio è attribuita in base all’indice di prestazione energetica calcolato valutando l’energia totale consumata dall’edificio climatizzato secondo i servizi energetici presenti e per il tipo di immobile, per metro quadro di superficie ogni anno, considerando un utilizzo.Carlo Murtas, Architetto

In questo calcolo, dunque, viene tenuto in debita considerazione il flusso energetico dell’immobile, il cui bilancio deve essere attentamente valutato sia in termini di apporto (ovvero, quanta energia è necessaria per un normale utilizzo) che in termini di dispersione (ovvero, quanta energia si disperde con il normale utilizzo). 

La dichiarazione dell’insieme dei fattori positivi e negativi, indicati attraverso valori predefiniti in base a parametri fissi o variabili, è contenuta all’interno del cosiddetto documento A.P.E., ovvero l’Attestato di Prestazione Energetica 

Maggiore è la classe attribuita ad un immobile, migliore è l’efficienza energetica dello stesso e questo certifica un impatto più contenuto sull’ambiente poiché, semplificando, per garantire determinate prestazioni si consuma di meno.   

Il miglioramento energetico dev’essere poi dimostrato dall’A.P.E., predisposto ante e post intervento, rilasciato da un tecnico abilitato attraverso una dichiarazione asseverata. 

L’asseverazione deve certificare la corretta esecuzione dei lavori, il rispetto dei requisiti tecnici, dei massimali di spesa e la congruità dei costi e può essere eseguita anche a stato avanzamento lavori (cosiddetti “S.A.L.”).  

Successivamente, l’asseverazione dovrà essere inviata ad ENEA in formato telematico entro 90 giorni dal termine dei lavori, o ad ogni S.A.L., che a sua volta rilascia una ricevuta informatica comprensiva di un codice identificativo. 

In conclusione, il Superbonus 110% è davvero uno strumento green utile per la ripartenza economica perché, attraverso la previsione di importanti incentivi e sgravi fiscali – tra l’altro prorogati dalla Legge di Bilancio 2022 – promuove degli interventi più sostenibili per l’ambiente. 

Carlo Murtas, Architetto

Sono laureato in architettura delle costruzioni ed esercito la professione di architetto presso Hinternos, il mio studio di Cagliari, in viale Diaz n. 29.

Hinternos è uno studio multidisciplinare di architettura nel quale si affrontano progetti che spaziano dalla piccola scala del design alle ristrutturazioni di interni ed efficientamento energetico degli edifici.

 

Focus di diritto tributario • Avv. Francesco Sanna

Benefici fiscali e riduzioni aliquote IVA negli interventi edilizi

In primo luogo è bene ricordare che nel sistema giuridico italiano esistono differenti aliquote fiscali che si applicano ogniqualvolta si ha un esborso economico per lavori di ristrutturazioni edilizie. A tal proposito, in base alla tipologia di intervento tali aliquote variano. 

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Focus di diritto penale • Avv. Claudia Piroddu

Abusi edilizi e Superbonus 110%

Una delle novità più significative e controverse introdotte dal D.L. n. 77/2021, cd. Decreto semplificazioni bis, riguarda la modifica dell’art. 119, co. 13 ter del Decreto Rilancio, in materia di abusi edilizi.

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Focus di diritto civile • Avv. Viola Zuddas

Un anno di Superbonus: primi bilanci e novità

Come abbiamo avuto modo di apprendere dal focus dell’Arch. Carlo Murtas e dalla pillola di diritto pubblicata sui nostri canali social, il Superbonus 110% è uno strumento volto a favorire gli interventi di efficientamento energetico per rilanciare rapidamente il comparto dell’edilizia e rispondere alle importanti sfide climatiche ed ambientali.  

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Focus di diritto dell’Unione Europea • Avv. Eleonora Pintus

Superbonus: la strategia green approvata dall’Europa

Come evidenziato dal nostro collaboratore, Arch. Carlo Murtas, il Superbonus 110% può certamente essere considerato uno strumento green utile per la ripartenza economica del Paese perché, attraverso la previsione di importanti incentivi e sgravi fiscali, promuove degli interventi più sostenibili per l’ambiente.

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La partecipazione delle parti al procedimento di consulenza tecnica preventiva è necessaria ai sensi dell’articolo 8, comma 4, L. 8 marzo 2017 n. 24. Ciò denota l’evidente intento del Legislatore di favorire al massimo il raggiungimento di un accordo di conciliazione, sino al punto da adottare, nei confronti della parte che non manifesti un atteggiamento collaborativo, serie sanzioni.

Queste sono di diverso tipo e trovano la loro applicazione nel successivo giudizio di merito:

a) mancata partecipazione delle parti:

  1. condanna al pagamento delle spese di consulenza e di lite, indipendentemente dall’esito del giudizio;
  2. condanna al pagamento di una pena pecuniaria, determinata equitativamente, in favore della parte che è comparsa alla conciliazione;

b) mancata formulazione dell’offerta di risarcimento del danno da parte dell’impresa di assicurazione ovvero di mancata comunicazione dei motivi contrari:

  1. Qualora si giunga ad una pronuncia favorevole al danneggiato, si avrà la trasmissione della copia della sentenza da parte del giudice all’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS) per gli adempimenti di propria competenza.

Venendo alla conclusione del procedimento di consulenza tecnica preventiva si osserva che il consulente tecnico d’ufficio, prima di depositare la relazione in cancelleria, deve tentare – se possibile – la conciliazione tra le parti.Avv. Francesco Sanna, Civilista

Preme precisare che il tentativo in parola non è facoltativo, bensì è doveroso.

Difatti, l’indagine sulla possibilità o meno del tentativo di conciliazione deve tenere in debita considerazione due elementi: la natura della causa e l’atteggiamento assunto dalle parti prima del deposito della relazione in cancelleria, che potrebbero indurre il consulente a non tentare la conciliazione perché ritenuta del tutto inefficace.

Dal punto di vista procedurale la condizione di procedibilità è assicurata dall’esperimento del procedimento de quo, non potendosi di certo imporre alle parti di imbastire una trattativa, che per sua stessa natura deve essere il frutto della sola ed esclusiva volontà dei soggetti coinvolti.

Ad ogni buon conto, ove si giunga alla conciliazione, si applicano i commi 2 e 3 dell’art. 696-bis c.p.c. Così il giudice deve attribuire al processo verbale di conciliazione efficacia di titolo esecutivo, ai fini dell’espropriazione e dell’esecuzione in forma specifica, oltreché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Ai sensi del comma 4, il processo verbale è esente dall’imposta di registro.

Di converso, se la conciliazione non riesce, si applica l’art. 8, comma 3, della legge 8 marzo 2017 n. 24, a mente del quale «la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, è depositato, presso il giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1, il ricorso di cui all’articolo 702-bis del codice di procedura civile. In tal caso il giudice fissa l’udienza di comparizione delle parti; si applicano gli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile».

Una volta instaurato il procedimento di cui all’art. 702-bis e ss. c.p.c., «ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito».Avv. Francesco Sanna, Civilista

Qualora non venga rispettata la condizione di procedibilità, ai sensi dell’art. 8, comma 2, della legge 8 marzo 2017 n. 24, «l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice, ove rilevi che il procedimento di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dinanzi a sé dell’istanza di consulenza tecnica in via preventiva ovvero di completamento del procedimento».

Una volta divenuta procedibile la domanda, deve ritenersi che, essendo già stato promosso il processo secondo determinate forme (quelle del rito ordinario di cognizione ovvero quelle del rito sommario di cognizione), con queste stesse forme esso dovrà continuare. La regola della proposizione della causa secondo gli artt. 702-bis ss. c.p.c., infatti, vale soltanto nell’ipotesi in cui si sia stato preliminarmente esperito l’accertamento tecnico preventivo ex artt. 696-bis ss. c.p.c.

Francesco Sanna, Avvocato

La settimana scorsa ha destato molto scalpore la notizia, rilanciata da tutte le testate giornalistiche – sportive e non –, secondo cui il tennista serbo n.1 del ranking mondiale, Novak Djokovic, avrebbe partecipato agli Australian Open che inizieranno il prossimo 17 gennaio.

Sul punto è importante ricordare che, come precisato da Craig Tiley, CEO degli Australian Open, ogni atleta che arriva in Australia deve rispettare il protocollo deciso dagli organizzatori del torneo in accordo con il Governo nazionale e le autorità locali e, pertanto, deve essere vaccinato o deve aver presentato domanda per esenzione medica.

Ebbene, Nole Djokovic, noto per le sue posizioni no vax, ha ottenuto l’esenzione dal vaccino anti Covid19 a seguito di «un rigoroso processo di revisione che coinvolge due gruppi indipendenti e separati di esperti medici […] secondo protocolli equi e indipendenti», come chiarito dagli organizzatori della Tennis Australia.

La notizia, diventata un vero e proprio “caso”, ha acceso le polemiche nel mondo dello sport ed ha coinvolto anche autorevoli esponenti della comunità scientifica come il dott. Roberto Burioni, medico, professore di microbiologia e virologia all’università Vita-Salute San Raffaele, ed il dott. Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, che hanno rilasciato delle dichiarazioni piuttosto contrariate in relazione al comportamento tenuto dal tennista e dal gruppo di medici che avrebbe esaminato la sua domanda. 

Le ipotesi di esenzione dal vaccino

Ma al di là delle motivazioni di carattere personale che possono spingere ciascuno a scegliere di sottoporsi, o meno, alla vaccinazione, ci sono delle ragioni mediche che consentono di ottenere l’esenzione dal vaccino?
Sul punto è bene precisare che il Ministero della Salute, attraverso l’adozione di apposite circolari, ha regolamentato il rilascio di certificazioni di esenzione dalla vaccinazione anti-SARS-CoV-2 nei confronti di soggetti che per condizione medica non possono ricevere o completare la vaccinazione per ottenere la certificazione verde COVID-19, ovvero il cosiddetto
Green Pass. 

In particolare, la certificazione di esenzione viene rilasciata nel caso in cui la vaccinazione stessa venga omessa o differita per la presenza di specifiche condizioni cliniche documentate che la controindichino in maniera permanente o temporanea.Avv. Viola Zuddas, Civilista

Infatti, secondo quanto precisato dallo stesso Ministero della Salute, in via di prima approssimazione, la vaccinazione non deve essere somministrata quando il rischio che si manifestino delle reazioni avverse è maggiore dei vantaggi indotti dalla vaccinazione stessa. 

E’ evidente che tale valutazione, di competenza del medico, deve essere riferita allo specifico tipo di vaccino che si intende somministrare, in quanto la presenza di una controindicazione a quello specifico vaccino non esclude la possibilità che al paziente ne possano essere somministrati altri disponibili. 

Ad ogni modo, le persone che ottengono l’esenzione dalla vaccinazione anti SARS-CoV-2 devono essere adeguatamente informate sulla necessità di continuare a rispettare le norme di precauzione previste dal Governo e, in particolare, utilizzare le mascherine, praticare il distanziamento sociale dalle persone non conviventi, evitare gli assembramenti e così via. 

Quali sono le modalità di rilascio delle certificazioni di esenzione alla vaccinazione anti-SARS-CoV-2?

Come chiarito dallo stesso Ministero della Salute, le certificazioni di esenzione potranno essere rilasciate direttamente dai medici vaccinatori dei Servizi vaccinali delle Aziende ed Enti dei Servizi Sanitari Regionali o dai medici di Medicina Generale o pediatri di libera scelta dell’assistito che operano nell’ambito della campagna di vaccinazione anti-SARS-CoV-2 nazionale e che devono aver cura di archiviare la documentazione clinica del paziente. 

La certificazione deve essere rilasciata a titolo gratuito e deve contenere: 

  • i dati identificativi del soggetto interessato (nome, cognome, data di nascita); 
  • la dicitura: “soggetto esente alla vaccinazione anti SARS-CoV-2. Certificazione valida per consentire l’accesso ai servizi e attività di cui al comma 1, art. 3 del Decreto Legge 23 luglio 2021, n.105”; 
  • la data di fine di validità della certificazione; 
  • i dati relativi al Servizio vaccinale della Aziende ed Enti del Servizio Sanitario Regionale in cui il sanitario opera come vaccinatore COVID-19 (denominazione del Servizio – Regione);
  • il timbro e la firma del medico certificatore (anche digitale); 
  • il numero di iscrizione all’ordine o codice fiscale del medico certificatore. 
La posizione del Consiglio di Stato sulla verifica della regolarità del rilascio delle certificazioni di esenzione

Con la recentissima sentenza n.8454/2021, il Consiglio di Stato ha ribadito che il medico sia tenuto a documentare con rigore le specifiche condizioni cliniche del paziente dalle quali emergerebbe la necessità di esonerarlo dalla vaccinazione per la sussistenza del pericolo per la sua salute. 

L’attestazione delle “specifiche condizioni cliniche documentate” richieste dalla Legge, infatti, non consiste nella mera dichiarazione della loro esistenza “ab externo” ma impone che delle stesse sia dato effettivo riscontro nella certificazione unitamente al “pericolo per la salute” del paziente. 

Sul punto, il Consiglio di Stato ha poi evidenziato che, in caso contrario, verrebbe del tutto meno il potere di controllo da parte dell’Amministrazione, alla quale spetta, anzitutto, il potere/dovere di vagliare, quantomeno secondo un parametro minimo di attendibilità, la rispondenza della certificazione alla finalità per la quale è prevista. 

Come si è concluso “il caso” Djokovic

Quanto al tennista serbo, dopo le fortissime polemiche sollevate, il Governo australiano ha annullato il suo visto perché ritenuto non in regola con le norme anti covid previste nel Paese e l’ha posto in isolamento in un’apposita struttura di Melbourne in attesa della decisione sulla sua espulsione. 

Peraltro, il giudice del tribunale di Melbourne, che doveva pronunciarsi sull’appello proposto dal tennista contro il provvedimento di espulsione, ha dato ragione a Djokovic ed ha annullato la cancellazione del visto, condannando il Governo a pagare le spese legali e disponendo il rilascio immediato del giocatore e la restituzione del passaporto. 

La vicenda, però, non è finita qui. 

Infatti,  Christopher Tran, legale dell’esecutivo, ha sottolineato che il ministro dell’Immigrazione, Alex Hawke, starebbe considerando di usare i suoi poteri speciali per espellere comunque Djokovic dal Paese, impedendogli di farvi ritorno per i prossimi tre anni.  

Viola Zuddas, Avvocato