Come abbiamo visto nei nostri precedenti articoli e nei focus a cura dell’Arch. Carlo Murtas di Hinternos dedicati a questo tema, il Superbonus 110% è stato introdotto dal Governo presieduto da Giuseppe Conte come strumento volto a rilanciare l’economia e, al contempo, tutelare l’ambiente. 

Lo stesso, infatti, è stato definito come la chiave “green” per la ripartenza economica del Paese tant’è che la riqualificazione energetica degli immobili nel 2021 ha generato un volume d’affari complessivo di 65 miliardi di euro nella filiera delle costruzioni (a fronte dei 30 miliardi dell’anno precedente – dati CNA, Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa). 

Dati che, tra l’altro, sono stati di recente confermati dal Dipartimento Politica Economica (cosiddetto DiPE) di Palazzo Chigi che sul proprio sito riporta l’analisi compiuta da Luiss Business School e Openeconomics che parla di «valore aggiunto di 16,64 miliardi di euro per una spesa di 8,75 nel 2020-2022.» 

Tuttavia, nel corso dell’ultimo anno si sono succeduti diversi emendamenti che hanno inciso notevolmente sulla disciplina che governa il Superbonus 110% tanto da creare zone d’ombra ed un’incertezza diffusa non soltanto tra i professionisti che operano nel settore ma, anche, tra i committenti stessi. 

Incertezza che, come facilmente intuibile, ha bloccato l’esecuzione dei lavori già in corso ed ha impedito l’avvio di nuovi cantieri, con disastrose conseguenze economiche per i professionisti coinvolti e le imprese. 

Difatti, secondo quanto riportato da Ansa.it e da CNA le frequenti modifiche normative ed il blocco dell’acquisto dei crediti da parte degli istituti bancari e postali legati ai bonus rischia di far fallire 33.000 imprese artigiane cui, a livello nazionale, si stima sia collegata la perdita di 150.000 posti di lavoro nel comparto dell’edilizia.Avv. Viola Zuddas, Civilista

Questa situazione è dovuta al fatto che migliaia di imprese che hanno lavorato per realizzare delle opere hanno applicato lo sconto in fattura, anticipando – in sostanza – il contributo di cui avrebbero poi beneficiato i committenti facendo affidamento sulla possibilità di recuperare il valore della prestazione attraverso la cessione dei crediti ad intermediari finanziari o soggetti terzi, così come prescritto dalla normativa. 

Tuttavia, a causa del blocco legato alla cessione dei crediti le imprese non sono riuscite ad incassare il corrispettivo dell’opera prestata e, dunque, si sono travate i cassetti fiscali pieni di crediti inceduti e senza liquidità. 

Per capire la serietà del fenomeno è importante riportare i dati di un’apposita indagine condotta da CNA dalla quale è emerso che i crediti fiscali delle imprese che hanno riconosciuto lo sconto in fattura e che non sono ancora stati monetizzati attraverso una cessione ammontano a quasi 2,6 miliardi di euro. 

Ebbene, come già anticipato, la gravità della situazione in cui versano le imprese si ripercuote necessariamente anche sugli altri operatori del settore: per non essere schiacciate dalla mancata cessione dei crediti, le imprese stanno ricorrendo a mutui e prestiti di vario genere per pagare i collaboratori ed i dipendenti ma c’è anche chi sta pagando in ritardo i fornitori o posticipa il pagamento di tasse e imposte e, infine, anche chi non riesce a sostenere alcun costo né di manodopera né di fornitura. 

E lo Stato?

È del tutto evidente che risulti assolutamente necessario un intervento deciso da parte dello Stato per scongiurare una gravissima crisi economica e sociale. 

Per questo motivo, nelle scorse settimane è stato approvato dalle Commissioni Bilancio e Finanze della Camera un emendamento inserito nel cosiddetto “decreto Aiuti” che, almeno nelle intenzioni dichiarate, dovrebbe far ripartire il mercato dei crediti legati ai bonus edilizi.Avv. Viola Zuddas, Civilista

In precedenza, l’articolo 29-bis del cosiddetto “decreto Energia” aveva portato da tre a quattro il numero di cessioni di crediti effettuabili con delle peculiarità: 

  • la seconda e la terza cessione si sarebbero potute fare soltanto a favore di banche, intermediari finanziari e società appartenenti a un gruppo bancario vigilato, 
  • la quarta cessione si sarebbe potuta fare da parte delle sole banche a favore dei soggetti coi quali ci fosse un contratto di conto corrente, con il risultato che le banche avrebbero potuto cedere il credito ai correntisti che siano clienti professionali loro o della loro capogruppo. 

Con l’ultimo emendamento, invece, le banche avranno la possibilità di cedere i crediti legati ai bonus edilizi non più a favore dei clienti professionali privati ma a favore di soggetti diversi dai consumatori o utenti, a patto che siano sempre correntisti. 

Deve, inoltre, aggiungersi che l’emendamento non incide sulla responsabilità dei cessionari, regolandola compiutamente, sicché sarà comunque necessario indagare caso per caso per valutare quale sia il grado di diligenza che il cessionario sia tenuto ad applicare in considerazione della propria natura. 

Difatti, è bene ricordare che il grado di diligenza che sia lecito aspettarsi sarà tanto maggiore quanto più è professionale la figura con cui si entrerà in contatto: ad esempio, un intermediario finanziario sarà tenuto ad osservare diligenza professionale, dunque, “qualificata” e perciò superiore rispetto a quella che ci si può aspettare da un privato. 

Questa misura è davvero risolutiva?

Purtroppo, anche il Decreto Aiuti non si dimostra idoneo a far ripartire il mercato dei crediti legati al Superbonus 110% né, tantomeno, a far uscire dalla crisi le migliaia di imprese e professionisti del settore dell’edilizia. 

Infatti, ai sensi comma 3 dell’articolo 57 le nuove norme in materia di cedibilità del credito si applicano alle comunicazioni della prima cessione o dello sconto in fattura inviate all’Agenzia delle Entrate a partire dal 1° maggio 2022.Avv. Viola Zuddas, Civilista

Ed i crediti maturati anteriormente? 

Ebbene, proprio questi crediti – che, evidentemente, sono quelli più consistenti e problematici per le imprese – sono esclusi dalle novità introdotte dal Decreto Aiuti e, pertanto, la loro cessione rimane assolutamente limitata e vincolata. 

Dunque le banche, ovvero le società appartenenti ad un gruppo bancario iscritto all’albo tenuto dalla Banca d’Italia, potranno cedere i crediti a società, professionisti e partite Iva soltanto in ordine alle comunicazioni della prima cessione o dello sconto in fattura inviate all’Agenzia delle Entrate a far data dal 1° maggio 2022. 

Leggendo i dati delle ricerche effettuate da diversi istituti – Ance, il Sole 24 Ore, il Dipartimento Politica Economica, Luiss Business School e Openeconomics, per citarne alcuni –  emerge che il Superbonus 110% è uno strumento che produce un notevole ritorno economico nelle casse dello Stato, grazie anche alle migliaia di posti di lavoro che crea, e, al contempo, contribuisce a rendere gli edifici più sicuri ed ecosostenibili. 

Viene, quindi, da domandarsi perché il Governo sia così ostinatamente contrario a questa misura, tanto da negare i risvolti più che positivi che questa ha avuto sull’economia nazionale.

Viola Zuddas, Avvocato

L’usucapione è un modo di acquisto della proprietà, o di un diritto reale di godimento, a titolo originario che si verifica quando il soggetto che intende avvalersene riesca a dimostrare il possesso, o l’esercizio di un altro diritto, su un bene, mobile o immobile, protratto nel tempo in modo continuo, pacifico e pubblico.

Affinché un soggetto si possa giovare di tale istituto e dei favorevoli effetti derivanti da una sentenza dichiarativa di usucapione è necessaria la coesistenza di determinati elementi, quali:

  • il possesso della cosa;
  • il trascorrere di un determinato periodo di tempo.

Evidenziati gli elementi fondanti l’istituto in parola, disciplinato all’art. 1158 e ss. c.c., occorre esplicitare cosa si intende per “possesso” e “periodo di tempo”, utili ai fini della declaratoria di usucapione di un determinato bene.

Il possesso deve essere:

  • pacifico e pubblico, cioè non violento o clandestino;
  • continuo ed ininterrotto, cioè esercitato con regolarità e non in modo occasionale.

Il tempo per cui si deve protrarre il possesso della cosa, varia in base:

  • alla categoria del bene;
  • alla situazione soggettiva del possessore (buona o mala fede);
  • all’esistenza o meno di un titolo idoneo;
  • all’esistenza o meno della trascrizione (mezzo di pubblicità dei beni immobili e mobili registrati).

Il Legislatore ha, inoltre, previsto i seguenti periodi temporali utili ai fini dell’usucapione:

  • 20 anni per gli immobili il cui possesso sia stato acquistato in malafede;
  • 20 anni per gli altri diritti di godimento sopra un immobile (usufrutto, uso, abitazione, servitù, ecc.);
  • 20 anni di possesso continuato per i beni mobili;
  • 10 anni se si è acquistato in buona fede, e in base a un atto pubblico registrato, da un soggetto che, tuttavia, non era il vero proprietario del bene;
  • 10 anni di possesso continuato per i beni mobili, relativamente alla proprietà o altri diritti reali acquisiti in buona fede da chi non ne è il proprietario, in presenza o meno di un atto di proprietà;
  • 10 anni di possesso continuato per i beni mobili iscritti nei pubblici registri (automobili, imbarcazioni, ecc.);
  • 3 anni dalla trascrizione per i beni mobili iscritti nei pubblici registri acquistati in buona fede da chi non ne è proprietario.

Fatto questo rapido riassunto in ordine alla disciplina sostanziale dell’usucapione, ora ci si soffermerà sull’onere probatorio incombente sulla persona che, adito il Giudice competente, intende ottenere una sentenza dichiarativa di usucapione.

La giurisprudenza sia di merito che di legittimità è unanime nel ritenere indispensabile, per potersi pronunciare a favore dell’intervenuta usucapione, la sussistenza di una prova certa circa l’inizio del possesso, non essendo possibile far riferimento ad un periodo non specificatamente determinato o alla semplice affermazione di possedere quel bene da tempo immemore.

Ad ogni modo nelle cause vertenti su detta materia la prova principe è quella per testimoni, i quali saranno chiamati a confermare date, circostanze e qualsiasi altro elemento utile a comprovare il possesso, nei modi, nelle forme e nei tempi visti sopra, di quel determinato bene da parte del soggetto interessato.
Rilevanza non secondaria assumono anche le prove documentali, quali ricevute di pagamento di tributi, fatture relative a lavori effettuati sul bene, ecc.
In linea generale il Tribunale competente a conoscere della controversia è quello del luogo in cui si trova la cosa oggetto della domanda di usucapione.

È bene precisare che la materia de qua rientra tra quelle per cui il procedimento di mediazione è obbligatorio, ex art. 5 del D. L.vo 4 marzo 2010, n. 28. Pertanto, prima di rivolgersi al Tribunale, il possessore deve presentare una istanza di mediazione civile ad un organismo di mediazione accreditato al Ministero di Giustizia.

Così, la parte, che ritiene di avere maturato il diritto di usucapire un bene, con l’assistenza di un avvocato deve presentare una istanza di mediazione avente ad oggetto il riconoscimento del proprio diritto, l’indicazione delle parti da chiamare e del bene da usucapire. L’organismo, poi, provvederà a convocare le parti indicate nell’istanza e a fissare la data dell’incontro. Avv. Francesco Sanna, Civilista e Tributarista

Il giorno stabilito, davanti il mediatore designato, le parti potranno raggiungere un accordo o meno.
Per poter raggiungere un accordo valido ed efficace è necessario che al procedimento di mediazione partecipino tutti coloro che risultano proprietari del bene e che, in caso di esito negativo della mediazione, saranno convenuti nel procedimento che, se del caso, verrà incardinato davanti al Tribunale.

Problematica frequente in tali processi è quella dipendente dal fatto che spesse volte si verifica che dalla documentazione risultino proprietari del bene da usucapire svariati soggetti, alcuni dei quali oramai deceduti, di difficile reperimento e identificazione – ad esempio gli eredi di cui non si conoscono i dati anagrafici, gli indirizzi, ecc. – così da rendere particolarmente gravosa la necessaria e indispensabile notifica dell’atto introduttivo del procedimento giudiziario a tutti i convenuti.

In presenza di determinate condizioni che rendono estremamente problematico – a causa dell’elevato numero dei destinatari o per la difficoltà di identificarli tutti – procedere alla notifica di un atto giudiziario nelle forme tradizionali, il nostro ordinamento dà la possibilità di ricorrere al peculiare e residuale istituto della notifica per pubblici proclami, ex art. 150 c.p.c.

Con tale strumento notificatorio, previa autorizzazione del Presidente del Tribunale, il soggetto interessato ovvia all’estrema difficoltà o impossibilità di rintracciare ogni singolo convenuto; così potendo in breve tempo ottenere una pronuncia favorevole che lo dichiari proprietario a titolo originario (o titolare di altro diritto reale di godimento) di un certo bene e per l’effetto poterne disporre liberamente.

Francesco Sanna, Avvocato