Le ragioni della riforma delle concessioni balneari

Come abbiamo già visto brevemente nella precedente pillola di diritto di febbraio, nei mesi scorsi il Governo ha approvato due provvedimenti per riformare i meccanismi con cui vengono assegnate le concessioni pubbliche agli stabilimenti balneari. 

Tali provvedimenti, in sostanza, danno attuazione alle sent. n.17–18/2021 del Consiglio di Stato che impongono lo stop delle proroghe delle concessioni marittime da gennaio 2024 conformemente alla normativa europea in materia di liberalizzazione. 

Sul punto, infatti, è bene ricordare che la Corte di giustizia nella sentenza del 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15 con riferimento all’art. 12 paragrafi 1 e 2 della direttiva 2006/123/CE e dell’art. 49 TFUE ha sancito alcuni importanti principi – e contestualmente ha dettato degli altrettanto importanti criteri applicativi – in materia di libera circolazione dei servizi, di par condicio, di imparzialità e di trasparenza per le concessioni balneari. 

Dunque, prima delle pronunce del Consiglio di Stato, nel nostro ordinamento vi era un vero e proprio contrasto tra la normativa nazionale  (in particolare l’art. 1, commi 682 e 683, L. n. 145 del 2018 che dispone la proroga automatica e generalizzata fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni demaniali in essere) e le norme dell’Unione Europea direttamente applicabili. 

Peraltro, inizialmente il conflitto è stato risolto in favore della normativa nazionale sul presupposto che il diritto dell’Unione non avrebbe potuto imporre l’obbligo di evidenza pubblica per il rilascio delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative. 

Successivamente, proprio la sentenza n.17/2021 del Consiglio di Stato ha affermato la preminenza del diritto comunitario ed ha precisato che: «il diritto dell’Unione impone che il rilascio o il rinnovo delle concessioni demaniali marittime (o lacuali o fluviali) avvenga all’esito di una procedura di evidenza pubblica, con conseguente incompatibilità della disciplina nazionale che prevede la proroga automatica ex lege fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni in essere.» 

Ebbene, come chiarito dallo stesso Consiglio di Stato, per garantire una più efficiente gestione del patrimonio costiero e una correlata offerta di servizi pubblici di migliore qualità è previsto un giusto rapporto tra servizi offerti e tariffe proposte ed un adeguato equilibrio tra le aree demaniali in concessione e quelle libere o libere attrezzate. 

A quest’ultimo proposito, da un report del Demanio Marittimo del Ministero delle Infrastrutture emerge che in Italia quasi il 50% (in alcune Regioni addirittura il 70%) delle coste sabbiose è occupato da stabilimenti balneari: si tratta di una percentuale di occupazione molto elevata se si considera che i tratti di litorale soggetti ad erosione sono in costante aumento e che una parte significativa della costa “libera” risulta non fruibile per finalità turistico-ricreative, perché inquinata o comunque abbandonata.Avv. Viola Zuddas, Civilista

Per le concessioni balneari, dunque, dovranno essere organizzate gare pubbliche con regole equilibrate e pubblicità internazionale, nel rispetto del principio di non discriminazione in base alla nazionalità e di quello di parità di trattamento di ogni potenziale offerente, cui dev’essere garantito un «adeguato livello di pubblicità» che consenta l’apertura del relativo mercato alla concorrenza. 

È chiaro che tali principi sono correlati con l’attuazione di due obblighi fondamentali: 

  • obbligo di trasparenza: volto a scongiurare eventuali disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate all’appalto, 
  • obbligo di imparzialità: che impone un rigido controllo sulle procedure di aggiudicazione. 

Sul punto è molto importante sottolineare che a differenza di un appalto “normale”, che riguarda un determinato bene o servizio e che viene eseguito una tantum, nel caso delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative la Pubblica Amministrazione mette a disposizione dei privati concessionari un complesso di beni demaniali che, valutati unitariamente e complessivamente, costituiscono uno dei patrimoni naturalistici (in termini di coste, laghi e fiumi e connesse aree marittime, lacuali o fluviali) più rinomati e attrattivi del mondo. 

Lo stesso Consiglio di Stato, peraltro, precisa che: «il giro d’affari stimato del settore si aggira intorno ai quindici miliardi di euro all’anno, a fronte dei quali l’ammontare dei canoni di concessione supera di poco i cento milioni di euro, il che rende evidente il potenziale maggior introito per le casse pubbliche a seguito di una gestione maggiormente efficiente delle medesime.» 

Pertanto, può affermarsi che una delle (tante) ragioni sottese a questa riforma sia di carattere squisitamente economico – patrimoniale, poiché non si può sminuire l’importanza e la potenzialità economica del patrimonio costiero nazionale sottraendolo, di fatto, alle regole delle concorrenza: da una parte, infatti, si verificherebbe la violazione dei principi di libera iniziativa economica e di ragionevolezza derivanti da una proroga generalizzata e automatica delle concessioni demaniali e, dall’altra, permarrebbe comunque il contrasto con i principi europei a tutela della concorrenza e della libera circolazione.Avv. Viola Zuddas, Civilista

Secondo le intenzioni del legislatore comunitario e nazionale, eliminare l’automatismo della concessione balneare, dunque, risponde all’esigenza di trovare il miglior concessionario sotto il profilo economico (che si traduce in migliore offerta di servizi e migliore rapporto tra questi e tariffe proposte) e, altresì, a quello di assicurare la maggiore trasparenza nelle scelte amministrative (che dovrebbe incentivare gli investimenti nel nostro Paese). 

In conclusione, dunque, le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative (compresa la moratoria introdotta con l’emergenza da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, D.L. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020) sono in contrasto con il diritto comunitario e, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione. 

Tuttavia, al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere e considerati i tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa che riordini la materia conformemente ai principi comunitari, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E. 

Non resta, quindi, che aspettare l’approvazione del DDL Concorrenza per vedere in che modo il Governo darà attuazione ai principi dettati dal Consiglio di Stato.

Viola Zuddas, Avvocato

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