Nei giorni scorsi, la giornalista Selvaggia Lucarelli ha condotto un’interessante inchiesta sull’iniziativa promossa da Balocco e dall’imprenditrice Chiara Ferragni che, nelle precedenti settimane, hanno pubblicizzato l’ingresso nel mercato natalizio del pandoro dell’azienda dolciaria griffato Chiara Ferragni.
Dalla nota pubblicata sul sito dall’azienda e dal post caricato su instagram dall’imprenditrice parrebbe evincersi che la vendita del pandoro sarebbe finalizzata a sostenere un importante progetto di ricerca condotto dall’ospedale Regina Margherita di Torino e che, quindi, parte del ricavato dovrebbe essere devoluto a favore delle cure terapeutiche per i bambini affetti da osteosarcoma e sarcoma di Ewing.
Tuttavia, come riportato da Lucarelli sui propri canali social e su Domani, quotidiano di informazione su cui scrive, quella che è stata presentata come un’iniziativa benefica è, in realtà, un’operazione commerciale slegata dall’intento dichiarato, tant’è che Balocco avrebbe già effettuato una donazione in favore dell’ospedale a prescindere dalla quantità di pandori venduti.
Infatti Lucarelli, nell’analizzare la descrizione del post dell’imprenditrice, ha messo in evidenza la presenza – tra gli altri – dell’hasthag “adv” che indica che il contenuto è sponsorizzato, ossia che ha finalità commerciale.
Ebbene, al di là del merito della vicenda, è interessante soffermarsi sulle tutele che vengono riconosciute dal nostro ordinamento al follower che nella fruizione di un contenuto veicolato sui social sia destinatario – più o meno consapevole – di un messaggio pubblicitario.Avv. Viola Zuddas, Civilista
L’hasthag “adv”(che deriva da “advertising”) – insieme a “partnership”, “ad”, “sponsorizzato”, ecc.- è definito “hasthag della trasparenza”, in quanto chiarisce che il contenuto che si sta visualizzando attraverso una storia o un post è frutto di un accordo commerciale tra l’influencer, il creator o il blogger e un dato brand e che, quindi, la comunicazione ha finalità pubblicitaria.
Il fenomeno definito “influencer marketing” con il tempo è cresciuto notevolmente grazie al fatto che, per la pubblicizzazione dei propri prodotti, le aziende che in passato si affidavano soltanto a personaggi famosi hanno deciso di avvalersi anche di persone “comuni”, o con un numero non elevato di followers, perché capaci di creare un rapporto all’apparenza più intimo e “vero” con gli utenti.
Questo comporta che i followers spesso non rilevano la natura “commerciale” della comunicazione fatta dagli influencer o dai creator e, quindi, i contenuti da loro pubblicati vengono sostanzialmente percepiti come un “consiglio” derivante dalla loro esperienza personale.
Tale distorsione è dovuta dal fatto che gli utenti si imbattono in tantissimi contenuti, caricati quotidianamente nei profili personali degli influencer o dei creator, che danno l’impressione di una narrazione privata del loro quotidiano soprattutto quando siano realizzati con tecniche fotografiche (volutamente?) non “professionali” e siano inseriti, magari, in un contesto definibile “familiare” o percepibile come tale.
Come è evidente, si tratta di un fenomeno particolarmente insidioso in quanto, proprio per le modalità con cui avviene la comunicazione ed il rapporto che si instaura, il follower non rileva immediatamente l’intento pubblicitario di un dato contenuto (quindi il suo carattere commerciale) e, pertanto, il suo approccio è scevro da quelle “accortezze” che altrimenti adotterebbe naturalmente.Avv. Viola Zuddas, Civilista
Quando sussistono questi presupposti ed in assenza di specifiche indicazioni sulla natura “commerciale” del contenuto non vi è dubbio che si configuri una vera e propria pubblicità occulta.
Ebbene, sulla scorta di quanto previsto già nel Codice del Consumo sul tema, negli anni scorsi l’Autorità Antitrust (con la collaborazione del Nucleo speciale Antitrust della Guardia di Finanza e sulla spinta dell’Unione Nazionale Consumatori e del Codacons) ha intrapreso un’attività di monitoraggio di alcuni tra i principali influencer e società titolari di marchi prestigiosi, che più di altre si avvalevano della loro collaborazione, inviando delle lettere cosiddette di “moral suasion” per sollecitare la massima trasparenza e chiarezza sull’intento commerciale esistente dietro i post pubblicati.
Con il tempo e con la diffusione del fenomeno, l’attività condotta dall’Antitrust si è ampliata e si è rivolta a tutti gli operatori coinvolti a vario titolo (anche ai gestori delle piattaforme social, per intenderci) che sono stati invitati ad adeguare la propria comunicazione ed i contenuti pubblicati alle prescrizioni del Codice del Consumo.
L’Autorità ha, dunque, individuato delle regole generali di condotta volte a rendere chiaramente ed immediatamente riconoscibile per gli utenti la finalità promozionale dei contenuti diffusi nei social, attraverso l’inserimento di specifici avvisi (come i cosiddetti “hasthag della trasparenza”) anche qualora il prodotto sponsorizzato sia offerto “gratuitamente” all’influencer o al creator.Avv. Viola Zuddas, Civilista
A tale ultimo riguardo, infatti, il prodotto non è un semplice regalo ma rientra in un accordo contrattuale più ampio in cui dietro la consegna dello stesso vi è l’impegno, da parte dell’influencer o del creator, di pubblicare un certo numero di contenuti promozionali: in questo caso, quindi, la controprestazione per la pubblicità fatta è rappresentata non dal denaro pagato dall’azienda ma dal bene stesso che l’influencer o il creator ha ricevuto.
In parallelo all’attività svolta dall’AGCM deve segnalarsi quella condotta dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (I.A.P.) che tramite la digital chart (confluita nel “Codice di autodisciplina”) ha indicato i parametri per una comunicazione commerciale «onesta, veritiera e corretta» a tutela dei consumatori ed anche della leale concorrenza tra le imprese, cui la stessa Autorità fa spesso riferimento.
Tornando, quindi, al caso Balocco – Ferragni, è pur vero che nella descrizione del post pubblicato sul proprio profilo instagram l’imprenditrice abbia inserito l’hasthag “adv”, conformemente alle indicazioni dell’Antitrust; tuttavia, può legittimamente affermarsi che questo non sia stato sufficiente per chiarire agli utenti la natura commerciale dell’iniziativa dal momento che in tantissimi hanno acquistato il pandoro nella convinzione che parte del ricavato sarebbe stato devoluto in beneficenza.
Sarà interessante confrontare i dati delle vendite di Balocco di quest’anno con quelli degli anni precedenti per verificare l’impatto dell’accordo commerciale con Ferragni, e poi anche raffrontarli con i numeri registrati dalle altre aziende dolciarie, poiché evidentemente potrebbe altresì porsi un problema in punto di concorrenza nel mercato.
In conclusione, questa vicenda testimonia quanto sia necessario ed urgente predisporre un’apposita disciplina capace di regolamentare l’influencer marketing per tutelare anzitutto gli utenti – consumatori da contenuti ingannevoli e, poi, anche per consentire ai brand di operare nel rispetto dei principi della concorrenza nel mercato, e infine anche per le piattaforme stesse che non devono incorrere in responsabilità in ordine ai contenuti pubblicati che siano contrari alle norme vigenti.
Viola Zuddas, Avvocato