Divieto di pubblicazione di atti e immagini: il caso della funivia del Mottarone

La strage della funivia del Mottarone è tornata al centro della scena mediatica a seguito della diffusione delle immagini estrapolate dall’impianto di videosorveglianza della funivia di Stresa-Alpino-Mottarone e relative agli ultimi istanti di vita delle vittime della sciagurata vicenda.

Le immagini contenute in un file-video, come anche evidenziato dal comunicato trasmesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Verbania, erano state depositate all’atto della richiesta di convalida del fermo degli indagati e di applicazione della misura cautelare.

Atti e documenti che, come tale, sono tuttora al vaglio degli inquirenti.

La diffusione di tali immagini ha suscitato una forte reazione, oltre che da parte dell’opinione pubblica, anche, e in particolar modo, da parte degli operatori del diritto.

Ebbene, volendo scientemente sorvolare su qualunque discussione relativa al forte impatto emotivo di un triste episodio di cronaca gettato al patibolo mediatico, appare qui interessante esaminare la vicenda dal punto di vista normativo al fine di comprendere quali siano le ragioni “tecniche” alla base delle contestazioni mosse dal mondo giuridico.

Al riguardo, è preliminarmente rilevante comprendere quale veste giuridica debba essere attribuita a tali immagini video e, di seguito, individuare le norme che disciplinano la pubblicazione di atti e immagini nell’ambito del procedimento penale.

Al fine di rispondere al primo quesito, occorre evidenziare, anzitutto, che, come anticipato, le predette immagini sono state acquisite nella fase delle indagini preliminari, ossia quella fase processuale in cui il Pubblico Ministero o, su delega, la Polizia Giudiziaria, quale organo di indagine, ha l’obiettivo di ricercare qualunque elemento pertinente al reato e di individuarne l’autore. Elementi, questi, che, in ogni caso, potrebbero acquisire valore di “prova” solo successivamente, in sede dibattimentale.

Il video della funivia in oggetto, pertanto, può essere certamente annoverato tra gli atti raccolti dalla Polizia Giudiziaria in fase indagini preliminari e atte a mettere il P.M. nelle condizioni di decidere se esercitare o meno l’azione penale.

Ebbene, tutti gli atti di indagine compiuti dal Pubblico Ministero e/o dalla Polizia Giudiziaria sono coperti, ai sensi dell’art. 329 c.p.p., da segreto, e ciò fino a quando l’imputato non ne abbia conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

Tale norma disciplina, dunque, il segreto di indagine, che va dal momento dell’acquisizione della notizia di reato fino alla chiusura delle indagini preliminari.

La ratio della norma appare molto chiara: non nuocere all’attività investigativa.

Ora, inquadrata dal punto di vista processuale la natura delle immagini video di cui sopra, al fine di rispondere al secondo quesito, occorre comprendere se le stesse potessero costituire oggetto di pubblicazione o meno.

Sul punto, si rileva che il legislatore, al fine di dare piena e concreta attuazione al principio della tutela della riservatezza del procedimento penale, ha puntualmente disciplinato, parallelamente alle suddette regole sulla segretezza, il divieto di pubblicazione degli atti e di immagini ai sensi dell’art. 114 c.p.p.Avv. Eleonora Pintus, Penalista e Internazionalista

Detta norma, come anche puntualizzato dalla giurisprudenza di legittimità, regolamenta il divieto di pubblicazione di atti o documenti presenti nel fascicolo del P.M. che, come è noto, nella fase delle indagini preliminari è il solo fascicolo esistente.

Qui sono presenti gli atti coperti dal c.d. segreto assoluto (art. 114, comma 1, c.p.p.), ossia atti del Pubblico Ministero e della Polizia Giudiziaria – che rimangono segreti “fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza”- e per i quali vige un divieto assoluto di pubblicazione sia con riguardo al loro contenuto che al testo.

Nello stesso fascicolo vi sono, poi, gli atti non più coperti dal segreto e gli atti che, fin dall’origine, non sono coperti dal segreto stesso.
In particolare, e per quanto è di maggiore interesse in questa sede, si evidenzia che per gli atti non coperti da segreto sussiste comunque, come anche ribadito dagli Ermellini, un divieto, seppur limitato, di pubblicazione dell’atto stesso.
Ed infatti, è proprio il secondo comma dell’art. 114 c.p.p. ad evidenziare che non vi è coincidenza concettuale tra il cd. segreto ed il divieto di pubblicazione.

Invero, anche un atto non più coperto dal segreto non può essere pubblicato fino alle scadenze indicate dalla norma, ossia fino allo svolgimento dell’udienza preliminare oppure, se questa non si tiene, fino alla chiusura della fase delle indagini preliminari.
In caso di dibattimento, invece, gli atti contenuti nel fascicolo del P.M. non possono essere pubblicati se non dopo la sentenza di secondo grado.

Ora, il breve excursus normativo soprariportato, consente di comprendere gli aspetti tecnico-normativi alla base delle contestazione provenienti dal mondo giuridico a seguito della pubblicazione e divulgazione delle immagini video del drammatico incidente verificatosi lo scorso 23 maggio: trattasi, infatti, di immagini che, benché non più coperte dal segreto, in quanto note agli stessi indagati, non avrebbero potuto e dovuto essere pubblicate in forza del divieto di pubblicazione di cui all’art. 114, comma 2 c.p.p., in quanto afferenti ad un procedimento attualmente in fase di indagini preliminari.

Ebbene, appare chiaro come questa vicenda abbia sortito l’effetto di porre ancora una volta al centro delle riflessioni il rapporto tra media e giustizia, peraltro più volte affrontato dalla stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la quale ha più volte ribadito che, in tutte le ipotesi di diffusione delle notizie, debbano, in ogni caso, essere garantiti i diritti fondamentali delle persone quali, tra tutti, la presunzione di non colpevolezza.

Eleonora Pintus, Avvocato

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