Il divieto della pesca dei ricci di mare in Sardegna

Con la Legge regionale n. 17 del 22 novembre 2021, la Giunta regionale sarda ha vietato il prelievo, la raccolta, la detenzione, il trasporto, lo sbarco e la commercializzazione degli esemplari di riccio di mare (cd. Paracentrotus lividus) e dei relativi prodotti derivati freschi, a decorrere dal sessantesimo giorno successivo all’entrata in vigore della disposizione e comunque fino alla data 30 aprile 2024. 

Unitamente al fermo della pesca, la Regione Sardegna ha, altresì, predisposto degli interventi a sostegno dei pescatori subacquei professionali, con uno stanziamento in totale di 2 milioni e 800 mila euro da ripartire nei tre anni. 

È stata ulteriormente prevista anche l’attivazione di un piano di monitoraggio scientifico, di concerto con gli operatori del settore, per valutare gli effetti della chiusura temporanea e l’avvio di attività di recupero ambientale, come la pulizia dei fondali e la rimozione delle attrezzature da pesca. 

Il provvedimento ha suscitato l’immediata reazione delle associazioni dei pescatori professionisti, che comprende circa 200 operatori, tant’è vero che nei giorni scorsi la Commissione Attività Produttive del Consiglio regionale ha valutato l’ipotesi di rinvio del fermo biologico a fine aprile 2022, per consentire la chiusura della stagione di pesca dei ricci di mare e, al contempo, la predisposizione di un adeguato piano di indennizzi destinati agli operatori del settore.Avv. Claudia Piroddu, Diritto Penale

Vi è chi sostiene che l’efficacia di un provvedimento così rigoroso, che colpisce direttamente i pescatori professionisti, potrebbe essere vanificata in mancanza di adeguati controlli contro l’abusivismo ed, altresì, che sussiste la necessità di garantire l’effettivo e soprattutto tempestivo sostegno economico ai lavoratori.  

Peraltro, tra le ipotesi sul tavolo, vi è anche quella di impiegare i pescatori colpiti dalla drastica misura nelle attività alternative di recupero ambientale, come ad esempio quella della rimozione della plastica in mare, al fine di garantire gli indennizzi in tempi rapidi, ma, com’è ovvio, si tratta di attività per le quali occorre una programmazione strutturata.  

Sulla base di tali presupposti, nella tarda serata di ieri, il Consiglio regionale ha accolto le richieste degli operatori del settore è ha deciso per il rinvio del blocco della pesca al prossimo 15 aprile, confermando al contempo il fermo triennale, che viene, dunque, prorogato al 30 aprile 2025.   

Ad ogni modo, per comprendere meglio la questione, è necessario partire dalla finalità che ha determinato l’introduzione del fermo triennale. 

La Legge regionale n. 17 del 22 novembre 2021

Il provvedimento, approvato dalla Giunta regionale su proposta dell’assessore all’agricoltura Gabriella Murgia, si è reso necessario per consentire il ripopolamento della specie, messa a rischio dal massiccio prelievo effettuato negli ultimi anni e dallo sovrasfruttamento della risorsa che, qualora venisse perpetrato, potrebbe condurre all’estinzione commerciale della specie.  

Nel mondo, ogni anno, si consumano circa 75 mila tonnellate di ricci di mare e, solo in Italia, circa 2 mila tonnellate, provenienti principalmente da Puglia, Sicilia e Sardegna, ma proprio in quest’ultima regione il rischio di estinzione risulta particolarmente elevato.  

I ricci di mare, infatti, svolgono un ruolo importante tanto nel mantenimento dell’ecosistema marino quanto nel settore commerciale, ragion per cui, da un lato, occorre garantire la sopravvivenza degli stessi e, dall’altro lato, evitare una proliferazione incontrollata che potrebbe ridurre la biodiversità nelle zone interessate. 

Si tratta, quindi, di individuare un punto di equilibrio tra le esigenze degli operatori del settore -che devono far fronte a una richiesta sempre maggiore da parte del consumatore- e la necessità di tutelare l’ambiente.Avv. Claudia Piroddu, Diritto Penale

Per tali ragioni, proprio in Sardegna, già da molti anni si è cercato di intervenire per arrestare il collasso della specie, attraverso l’introduzione del cd. fermo biologico, che comporta il divieto di pesca, vendita e consumo dei ricci di mare dal mese di maggio fino a giugno, ovvero durante il periodo di riproduzione. 

Il fermo temporaneo è accompagnato da una precisa regolamentazione dell’attività, nonché dei requisiti per il suo corretto svolgimento, sennonché la predetta misura non è stata sufficiente a ridurre il rischio di estinzione e ha reso inevitabile l’adozione del fermo triennale. 

Le violazioni della normativa vigente comportano l’applicazione di sanzioni sia di natura penale che amministrativa.   

Fermo biologico e pesca illegale 

Con l’espressione “pesca illegale” si intende la pesca esercitata senza il possesso di licenza o autorizzazione valide, nonché in violazione delle norme previste a livello internazionale, nazionale e regionale, come ad esempio la pesca praticata in zone dove è imposto il divieto, oppure con l’utilizzo di attrezzi non conformi e, altresì, quando non si rispetta il periodo di fermo pesca stabilito. 

Come si immagina, tale attività illecita determina delle ripercussioni pesantissime sull’ecosistema e cagiona un grave danno economico e biologico, in quanto genera delle distorsioni nel mercato legale e provoca il depauperamento degli stock ittici, con la distruzione degli habitat marini e la conseguente perdita della biodiversità.   

Dunque, al fine di tutelare le risorse biologiche il cui ambiente abituale o naturale di vita sono le acque marine, nonché di prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, l’art. 7, co. 1, del D. Lvo. 19 gennaio 2012, n. 4, individua una vasta gamma di attività considerate illeciti penali e, pertanto, punite con l’arresto e la multa.Avv. Claudia Piroddu, Diritto Penale

In particolare, nel successivo art. 8, co. 1 e 2, del menzionato Decreto, viene sanzionato chi cattura specie di cui è vietata la pesca, utilizza materiale esplosivo, cattura e trasporta pesci storditi e uccisi con metodi vietati o pesca in acque di altri Stati, con la pena dell’arresto da 2 mesi a 2 anni e la multa fino a 12 mila euro. 

Inoltre, costituisce reato anche la sottrazione del pescato da altre attività di pesca, l’esercizio della pesca in spregio delle distanze stabilite dalla normativa vigente e, altresì, la detenzione, il trasporto e il commercio del raccolto ottenuto illegalmente, tutte condotte punite, a seguito di querela di parte, con l’arresto da 1 mese a 1 anno e la multa fino a 6 mila euro. 

Vi è poi l’applicazione di pene accessorie, come la confisca del pescato e dell’attrezzatura utilizzata per la pesca, nonché la sospensione o la revoca della licenza e la sospensione dell’esercizio commerciale. 

Al di fuori dalle ipotesi in cui la condotta costituisca reato, il D. Lvo n. 4/2012 prevede, inoltre, degli illeciti amministrativi, tra i quali rientra, per espressa previsione nell’art. 10, co. 1, lett. d), anche l’attività di pesca di stock ittici per i quali la pesca è sospesa ai fini del ripopolamento per la ricostituzione degli stessi.  

Tale condotta comporta nei confronti del trasgressore il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria da un importo minimo di 2 mila euro ad un massimo di 12 mila euro. 

Claudia Piroddu, Avvocato

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