Matrimonio forzato e permesso di soggiorno

La disciplina di ingresso e di soggiorno degli stranieri nel territorio dello Stato si presenta come particolarmente complessa ed articolata in quanto frutto dell’intreccio normativo vigente a livello sovranazionale.

Per quanto è di interesse in questo contributo, si evidenzia, fin da subito, che il principale testo di riferimento in materia di immigrazione a livello nazionale è il Testo Unico dell’Immigrazione il quale, come si legge tra i principi generali, indica le azioni e gli interventi che lo Stato italiano, anche in cooperazione con gli altri Stati membri dell’Unione europea, con le organizzazioni internazionali, con le istituzioni comunitarie e con organizzazioni non governative, si propone di svolgere in materia di immigrazione, anche mediante la conclusione di accordi con i Paesi di origine.

Il presente testo individua i criteri generali per la definizione dei flussi di ingresso nel territorio dello Stato, delinea gli interventi pubblici volti a favorire le relazioni familiari, l’inserimento sociale e l’integrazione culturale degli stranieri residenti in Italia, nel rispetto delle diversità e delle identità culturali delle persone, purché non siano in contrasto con l’ordinamento giuridico.

Al riguardo, il Titolo secondo del Testo Unico dell’immigrazione è dedicato interamente all’analisi delle disposizioni sull’ingresso e soggiorno nel territorio dello Stato, prestando particolare attenzione a situazioni di carattere umanitario alle quali sono dedicate le disposizioni di cui al Capo III.

Tra queste, per quanto è di maggiore interesse, all’art. 18-bis del TUI, è previsto il riconoscimento del “Permesso di soggiorno per le vittime di violenza domestica”.

La norma in esame prevede espressamente che quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti previsti dagli articoli 572, 582, 583, 583-bis, 605, 609-bis e 612-bis del codice penale o per uno dei delitti previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale, commessi sul territorio nazionale in ambito di violenza domestica, siano accertate situazioni di violenza o abuso nei confronti di uno straniero ed emerga un concreto ed attuale pericolo per la sua incolumità il questore, con il parere favorevole dell’autorità giudiziaria procedente ovvero su proposta di quest’ultima, rilascia un permesso di soggiorno per consentire alla vittima di sottrarsi alla violenza.

Affinché il permesso di soggiorno possa essere rilasciato allo straniero è, dunque, necessario che siano accertate violenze domestiche o abusi nei confronti di uno straniero nel corso di operazioni di polizia, indagini o procedimenti penali esclusivamente nelle ipotesi in cui si ravvisi la fattispecie delittuosa di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.), lesioni personali semplici e aggravate (artt. 582 e 583 c.p.), mutilazioni genitali femminili (art. 583-bis c.p.), sequestro di persona (art. 605 c.p.), violenza sessuale (art. 609-bis c.p.), atti persecutori (art. 612-bis c.p.), o delitti per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza (art. 380 c.p.p.).

Ma cosa si intende per violenza domestica?

Secondo l’articolo in esame, si intendono per violenza domestica uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o anche da mera relazione affettiva.

La violenza domestica suscettibile di riconoscimento del permesso di soggiorno, dunque, è oggi circoscritta alle sole ipotesi di violenza che si manifesta nelle condotte penalmente sanzionabili di cui all’attuale impostazione dell’art. 18 bis del TUI, ma non anche nelle ipotesi in cui la violenza si manifesti sotto altre forme.

Ebbene, i più recenti casi di cronaca giudiziaria hanno messo in evidenza una eclatante lacuna dell’assetto normativo italiano che, in contrasto con gli obblighi assunti a livello internazionale, non prevede un sistema di tutele completo per le vittime – per la maggior parte donne, secondo l’ultimo rapporto ministeriale – di condotte coercitive dirette, ad esempio, a costringere un adulto o un minore a contrarre un matrimonio e nell’attirare l’adulto o il minore nel territorio dello Stato estero, diverso da quello di residenza, con lo scopo di costringerlo a contrarre matrimonio.

Detta lacuna è stata parzialmente colmata dagli ultimi interventi normativi in ambito penale: in risposta a detto fenomeno, con la legge del 19 luglio 2019 n. 69, è stato infatti inserito nel Codice penale, l’art. 558 – bis c.p. che disciplina il reato di “Costrizione o induzione al matrimonio”, il quale punisce con la reclusione da uno a cinque anni, chiunque con violenza o minaccia costringa una persona a contrarre matrimonio o unione civile o, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induca a contrarre matrimonio o unione civile. Con aggravio di pena se la vittima è minore di anni 14.

Matrimonio forzato: la Camera approva la “Legge Saman”

Al fine di garantire una tutela completa delle vittime, e ridurre, se non eliminare del tutto, l’abisso tra i requisiti e le garanzie formali previsti dalle Convenzioni internazionali e la vita quotidiana delle vittime di violenze, il Parlamento ha adottato la proposta di legge A.C. 3200 volta ad introdurre nel nostro ordinamento il reato di matrimonio forzato, di cui all’art. 558-bis c.p., nel novero dei reati presupposti al rilascio allo straniero del permesso di soggiorno per le vittime di violenza domestica di cui all’art. 18 del Test Unico Immigrazione.

La proposta di legge, presentata dopo il caso di Saman Abbas, diciottenne di origini pakistane che sarebbe stata uccisa dai parenti poiché si era opposta al matrimonio combinato con suo cugino, è stata approvata nella seduta del 5 aprile 2022 dall’Assemblea della Camera dei deputati.

L’introduzione della fattispecie delittuosa di cui all’art. 558-bis c.p. tra i reati che consentono l’eventuale rilascio di un titolo abilitativo speciale al soggiorno rappresenta un concreto passo avanti per lo Stato che, in quanto firmatario di plurimi trattati internazionali per la tutela delle donne e, più in generale, vittime di violenze, ha dato luogo ad azioni concrete atte a garantire la piena tutela delle vittime di violenza, così realizzando, mediante interventi normativi orizzontali, una piena e concreta tutela multilivello in ossequio agli obblighi assunti a livello sovranazionale.

Eleonora Pintus, Avvocato

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