L’art. 2051 c.c. rappresenta una delle ipotesi di cosiddetta responsabilità oggettiva presenti nel nostro ordinamento, disciplinando specificatamente la responsabilità da «Danno cagionato da cose in custodia», a mente della quale un qualunque soggetto, sia esso privato o pubblico, è tenuto al risarcimento qualora la cosa sottoposta alla propria custodia abbia causato un danno ad un altro soggetto, a prescindere dal fatto che il contegno del custode sia a lui imputabile a titolo di colpa o dolo.
La peculiarità di tale fattispecie risiede nel fatto che l’evento dannoso è condizione necessaria e sufficiente a fondare la responsabilità. L’elemento oggettivo idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra danno arrecato dalla cosa e responsabilità del custode è rappresentato dal cosiddetto “caso fortuito”: dalla sua sussistenza derivano una serie di risvolti pratici sul regime dell’onere della prova.
Il fattore del “caso fortuito” attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità. Così, conseguendone l’inversione dell’onere della prova in ordine al nesso causale, incombendo sull’attore/danneggiato la prova del nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo e sul convenuto/danneggiante la prova del “caso fortuito”.
Effetti sul regime dell’onere probatorio
Come accennato, ciò determina effetti sul regime dell’onere probatorio. Vediamo quali.
Dall’art. 2051 c.c. si evince che grava sul danneggiato l’onere di provare il nesso eziologico tra danno subìto e bene in custodia, laddove spetterà al custode dare la prova del “caso fortuito”. Viceversa, nel caso della responsabilità aquiliana, ex art. 2043 c.c., è l’attore a dover fornire la prova del comportamento contrario alla legge, elemento questo estraneo alla struttura della fattispecie normativa di cui all’art. 2051 c.c., nella quale il fondamento della responsabilità è costituito dal rischio intrinseco della cosa e che grava sul custode, salva l’esimente del “caso fortuito”.
Pertanto, in virtù della superiore spiegazione sembrerebbe che colui che si determini a richiedere la tutela giurisdizionale, ai sensi dell’art. 2051 c.c., per i danni patiti gioverebbe di un regime probatorio “di favore”, potendo lo stesso domandare il risarcimento del danno subìto in forza del mero rapporto intercorrente tra la cosa (res) ed il soggetto investito della sua custodia, prescindendo da una condotta soggettivamente imputabile a quest’ultimo.
Tuttavia, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale sia di legittimità che di merito, il risultato desiderato dal danneggiato/attore non pare di così facile raggiungimento.
L’elemento oggettivo idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra danno arrecato dalla cosa e responsabilità del custode è rappresentato dal cosiddetto “caso fortuito”: dalla sua sussistenza derivano una serie di risvolti pratici sul regime dell’onere della prova.”Avv. Francesco Sanna, Civilista
Difatti, con la storica pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 12019/1991, si è dato riconoscimento formale alla dilagante intolleranza verso un’applicazione rigorosa e letterale dell’art. 2051 c.c., la quale prestava il fianco ai cosiddetti “risarcimenti facili”.
In particolare, il problema si è posto soprattutto nei confronti dei beni (strade) appartenenti alle Amministrazioni Pubbliche (Comuni, Province, Regioni e Stato), data la loro particolare estensione territoriale, da un lato, e la propensione a diventare facili bersagli di richieste risarcitorie fraudolente, dall’altro lato.
Ragion per cui, si è affermata, in modo assolutamente maggioritario, l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 2051 c.c. anche al caso di danno occorso sulla strada di appartenenza della P.A., gravando però sul danneggiato il serio e rigoroso onere di provare la sussistenza del nesso causale tra danno patito e bene in custodia, oltrechè di escludere l’intervento di alcun “caso fortuito”: elemento di per sé idoneo a mandare assolto L’Ente, custode della rete viaria, da responsabilità.
Tale maggiore rigidità interpretativa è testimoniata dalla particolare attenzione dei giudici circa la verifica della presenza, nelle singole fattispecie, di elementi in grado di interrompere il suddetto nesso causale, il quale può essere spezzato dalla condotta del danneggiato.
E così il contegno del danneggiato ha diversa valenza e peso rispetto alla decisione del caso concreto a seconda del grado di incidenza che questo ha avuto in ordine al verificarsi dell’evento dannoso; il tutto anche alla luce dell’applicazione dell’art. 1227, comma 1 c.c., rubricato «Concorso del fatto colposo del creditore», così «… richiedendosi una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro». (Cass. Civ., ord. n. 9315/2019, conf. Cass. Civ., ord. nn. 2480-2481-2482-2483/2018 e da ultima Cass. Civ., Sez. III, ord. n. 4178/2020)
Sul solco tracciato dalla giurisprudenza di legittimità si è inserito anche il Tribunale di Cagliari, il quale ha prestato particolare attenzione alle peculiarità e alle specificità dei singoli elementi di fatto – caratterizzanti la fattispecie oggetto di decisione – in virtù di quanto allegato e provato dalle parti in causa.