Responsabilità medica: introduzione e importanza del consenso

Con il presente articolo e con quelli che seguiranno nelle prossime settimane e mesi si tenterà di offrire, seppur in sintesi e senza alcuna presunzione di esaustività, un quadro d’insieme in materia di responsabilità medica: il tutto alla luce delle annose problematiche, sia di diritto sostanziale che processuale, e di quelle nuove nate a seguito dell’emergenza pandemica da SARS-CoV-2 in atto.

Fatta questa doverosa premessa di carattere organizzativo-metodologico, ora si cercherà di approcciare l’istituto in esame partendo dalla sua definizione.

In generale si definisce responsabilità medica quella responsabilità professionale sussistente in capo a colui il quale nell’esercizio dell’attività sanitaria arreca danni ad un paziente causati da errori, omissioni o violazioni degli obblighi inerenti lo svolgimento dell’attività medesima.Avv. Francesco Sanna, Civilista e Tributarista

La base normativa di riferimento è la seguente.

Il codice civile regola all’articolo 2229 e seguenti c.c. i caratteri fondamentali della responsabilità civile del professionista intellettuale, prestando specifica attenzione alla particolarità principe di tali professioni: cioè la diligenza impiegata, nonché quella che sia plausibile attendersi dal soggetto che svolge la propria attività lavorativa in piena autonomia, con ampi poteri discrezionali e in virtù delle specifiche competenze acquisite a seguito di un lungo periodo di formazione teorico-pratica.

L’importanza di tale materia, unita alle sue peculiarità e difficoltà interpretative, hanno determinato il Legislatore ad approntare appositi interventi legislativi atti a regolamentare in maniera puntuale e specifica l’istituto in parola; a cominciare dal D.L. del 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni nella L. dell’8 novembre 2012, n. 189 (la cosiddetta legge Balduzzi) fino alla recentissima L. dell’8 marzo 2017, n. 24 (cosiddetta legge Gelli-Bianco).

Richiamata la normativa generale e speciale dell’istituto de quo, dal punto di vista giuridico-sostanziale si può parlare di responsabilità medica quando sussiste un nesso causale tra la lesione alla salute psicofisica del paziente e la condotta commissiva/omissiva dell’operatore sanitario in concorso o meno con le inefficienze e/o carenze della struttura sanitaria in cui il trattamento sanitario è stato eseguito o che sarebbe dovuto essere eseguito.

Alla luce di quanto appena affermato emerge la centralità del rapporto tra il diritto alla salute, di cui all’articolo 32 Cost. ‹‹La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.›› ed il diritto-dovere del sanitario a svolgere la propria attività professionale secondo scienza e coscienza, sia autonomamente che in equipe, avendo quale fine ultimo la guarigione del malato o la prevenzione dell’insorgenza di patologie.

Pertanto, il concetto di responsabilità medica si riferisce ad una o più prestazioni, eseguite su un determinato soggetto, che sono il risultato di un insieme di azioni, commissive od omissive, svolte da un sistema composito di autori (persone fisiche: medici, infermieri, assistenti sanitari, ecc., e giuridiche: ospedale, clinica privata, casa di cura per anziani, ecc.).

Da queste semplici osservazioni è evidente come la casistica degli interventi sanitari sia estesa e, soprattutto, sia il risultato di tutte quelle esperienze e metodologie che si sono dimostrate “sul campo” idonee alla prevenzione e/o alla cura quotidiana dei pazienti.

Tuttavia, nei casi in cui gli effetti sperati non siano quelli auspicati è possibile che al personale medico-sanitario possano essere mosse delle critiche sulle scelte intraprese ed imputati errori diagnostici, terapeutici, o da omessa vigilanza, ecc., tali da aver determinato l’aggravamento del quadro clinico del paziente o, nella peggiore delle ipotesi, il suo decesso; con conseguente rischio di incorrere in azioni penali e/o civili in proprio danno, volte a provare la sussistenza della responsabilità di quanto accaduto.

Da ciò deriva la grande rilevanza, nonché la diversa considerazione rispetto al passato, dell’importanza della volontà e autonomia del paziente, non più in balìa delle decisioni del professionista ma soggetto attivo nelle scelte riguardanti la sua salute.Avv. Francesco Sanna, Civilista e Tributarista

In particolare, in materia di consenso informato e di diritto alle cure si richiamano le disposizioni di cui alla Legge 22 dicembre 2017, n. 219 e alla Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997, in virtù delle quali in sostanza viene affermato che:

  • Il Consenso Informato medico è il processo con cui il Paziente decide in modo libero e autonomo dopo che gli sono state presentate una serie specifica di informazioni, rese a lui comprensibili da parte del medico o equipe medica, se iniziare o proseguire il trattamento sanitario previsto; (L. 22 dicembre 1997, n. 219);
  • “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”. (art. 5 Convenzione di Oviedo del 1997)

Tirando le fila del discorso si può affermare che l’operato del sanitario sarà legittimo non solo se svolto nel rispetto delle leges artis, ma anche se preceduto dallo scrupoloso assolvimento degli obblighi informativi in materia di consenso informato. In difetto, anche di uno solo di tali adempimenti, potrà derivare la responsabilità medico-sanitaria del professionista.

Francesco Sanna, Avvocato

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