La responsabilità medica: elementi fondanti e il rischio della “medicina difensiva”

Il settore della responsabilità medica è di certo uno dei più dibattuti e controversi del mondo giuridico. Il perché è presto spiegato: da un lato, c’è l’esercizio di una professione tra le più delicate dello scibile umano e dalla quale dipende la fondamentale salvaguardia del diritto alla vita e alla salute, dall’altro lato, c’è la doverosa esigenza di tutelare quei pazienti che hanno patito un danno dal maldestro esercizio della professione sanitaria.

Il concetto di malpractice sanitaria – che si verifica nel momento in cui chi eroga un servizio (azienda ospedaliera, medico extra moenia, clinica privata, infermiere, ecc.), non rispettando le linee guida minime dettate per l’intervento in questione, provoca danni o lesioni gravi e permanenti (o morte) al paziente – è centrale al fine di comprendere gli elementi che concorrono a individuare una fattispecie di malasanità e i suoi possibili effetti. Ciò determina una evidente incidenza sui concetti di colpa e di nesso causale, tra la condotta posta in essere e l’evento dannoso, nel campo della responsabilità medica.

La responsabilità medica attiene, dunque, all’obbligo di rispondere delle conseguenze derivanti dalla illecita condotta, commissiva od omissiva, posta in essere in violazione di una norma.Avv. Francesco Sanna, Civilista e Tributarista

In dipendenza dell’ambito operativo della norma violata si potranno configurare varie tipologie di responsabilità: morale, amministrativo-disciplinare o – ed è quella che qui interessa – giuridica, dovuta alla violazione di una norma di legge.

In generale, si ha una condotta colposa giuridicamente rilevante quando a seguito del contegno posto in essere da un soggetto deriva un evento non voluto dall’agente ma che si verifica a causa della propria negligenza, imprudenza o imperizia (colpa generica) oppure per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica).

Per meglio chiarire si ha:

  • negligenza, superficialità, trascuratezza e disattenzione quando ad esempio un medico prescrive un farmaco al posto di un altro oppure un chirurgo non avvedendosi della presenza di un oggetto estraneo all’interno del corpo del paziente non lo rimuove;
  • imprudenza quando il sanitario pone in essere una condotta definibile come avventata o temeraria, pur consapevole dei rischi per il paziente, e decide comunque di procedere con una determinata pratica;
  • imperizia quando si appalesa una scarsa preparazione professionale per incapacità proprie, insufficienti conoscenze tecniche o inesperienza specifica.

La colpa specifica, invece, si ha qualora il sanitario vìola norme che in forza della propria posizione professionale non poteva ignorare e che era tenuto ad osservare.

I tipi di errore in cui può incappare il professionista sono i seguenti:

  • prognostico derivante da un giudizio di previsione sul decorso e soprattutto sull’esito di un determinato quadro.
  • terapeutico attiene alla scelta del trattamento da porre in essere o dalla sua errata esecuzione, come ad esempio la scelta di intervenire chirurgicamente quando non necessario o, peggio ancora, porre in essere un errore durante l’intervento.

Difatti, è indispensabile che venga individuato un legame – nesso eziologico – tra errore commesso e danno subito dal paziente, affinché il secondo possa qualificarsi come diretta conseguenza del primo, determinando, da un lato, una responsabilità giuridicamente rilevante in capo al professionista e, dall’altro lato, il diritto del danneggiato a chiedere il risarcimento del danno patito.Avv. Francesco Sanna, Civilista e Tributarista

La sussistenza del nesso causale in parola spesse volte risulta difficilmente verificabile in termini di certezza assoluta: tant’è che il medico-legale, incaricato dal Giudice al fine di accertare se e in che misura la condotta colposa – commissiva od omissiva – del sanitario sia stata la causa diretta dei danni accertati e di cui il paziente chiede il ristoro, applicherà il criterio sta­tistico-probabilistico.

Problematica strettamente collegata a quanto appena esposto è la ricerca del punto di equilibrio tra la tutela di coloro i quali svolgono un’attività che, come visto, spesso richiede scelte difficili e talvolta lasciate all’intuizione del professionista e l’eventuale responsabilità, sia penale che civile, che su di esso potrebbe incombere in presenza di determinate condizioni.

In assenza di tale punto di equilibrio e di confini precisi entro i quali i sanitari si sentano posti al riparo da procedimenti civili e/o penali a loro carico, volti a dimostrare la loro responsabilità nell’esecuzione di un certo trattamento, di una diagnosi, ecc., nasce il rischio che questi scelgano di non percorrere ogni tentativo, seppur rischioso, di curare o addirittura di salvare la vita del paziente, intimoriti delle possibili conseguenze giudiziarie in cui potrebbero incappare.

Pertanto, si assisterebbe al dilagante esercizio della cosiddetta “medicina difensiva” – figlia della paura degli operatori di poter sbagliare e di incorrere in responsabilità – caratterizzata dal porre in essere terapie standard che, anche se non propriamente adatte al caso concreto, pongono il professionista in una posizione di maggiore riparo da qualsiasi responsabilità.

Francesco Sanna, Avvocato

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