Il processo civile per responsabilità medica: la scelta del “filtro” dell’accertamento tecnico preventivo e la sua ratio • Parte 3

In alternativa al “filtro” della mediazione, di cui abbiamo analizzato gli aspetti essenziali nell’articolo del mese di ottobre (https://www.forjus.it), il danneggiato può scegliere di far ricorso all’altro strumento alternativo dell’accertamento tecnico preventivo con funzione conciliativa disciplinato dall’art. 696-bis c.p.c.

L’utilizzo di tale strumento, il cui impianto normativo scaturito a seguito della riforma del 2017 tradisce una netta predilezione da parte del legislatore rispetto alla mediazione, sancisce l’indubbio vantaggio – sul piano istruttorio – che, in caso di naufragio del tentativo di conciliazione, la relazione del consulente nominato dal giudice potrà essere acquisita nel successivo ed eventuale processo.

L’importanza e la centralità della relazione di cui all’accertamento tecnico preventivo ai fini della composizione della lite è confermata dal fatto che il legislatore ha stabilito un necessario raccordo tra detto “filtro” e l’eventuale processo, laddove quest’ultimo si svolge secondo le forme del rito sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c.

Tale collegamento è figlio di una scelta ben precisa operata dal legislatore.

Difatti il rito sommario, essendo per lo più destinato a dirimere le controversie che non presentano una particolare complessità e che non richiedono un’istruttoria approfondita, affiancato al previo svolgimento dell’accertamento tecnico (conclusosi senza il raggiungimento di un accordo tra le parti) e all’acquisizione della relazione peritale consente di grandemente i tempi della trattazione e della decisione, non dovendo sottostare alle regole e tempistiche del rito ordinario di cognizione regolato dagli artt. 163 e ss. c.p.c.

Venendo all’analisi della ratio dell’istituto di cui si sta trattando corre l’obbligo di evidenziare come questi ricomprenda al suo interno una “doppia anima”, poiché svolge tanto una funzione istruttoria, quanto una conciliativa – con prevalenza di quest’ultima rispetto alla prima.

Ciò si evince da diversi elementi, quali:

  • la rubrica della norma, «consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite»;
  • l’applicabilità di tale procedura «anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’articolo 696» e, quindi, in assenza dell’urgenza, il che sottrae alla consulenza tecnica la funzione cautelare di salvaguardia del futuro esercizio del diritto alla prova, propria dei mezzi di istruzione preventiva;
  • il tenore complessivo dell’art. 696-biscpc;
  • l’efficacia di titolo esecutivo conferita al verbale di conciliazione e l’ampliamento massimo delle sue potenzialità esecutive, alla stessa stregua di altre ipotesi in materia di conciliazione (ad esempio, proprio quella di cui al d.lgs 28/2010);
  • l’agevolazione sul piano fiscale, consistente nell’esenzione dal pagamento dell’imposta di registro, che rappresenta un incentivo alla conciliazione.

Pertanto, si può serenamente affermare, senza tema di smentita, che la consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, ex art. 696-bis c.p.c., è stata concepita soprattutto quale strumento per stimolare il raggiungimento di un accordo tra le parti, così assolvendo anche alla fondamentale funzione deflativa del contenzioso. Avv. Francesco Sanna, Civilista e Tributarista

Di fronte all’instaurazione della procedura in parola il giudice è chiamato a porre in essere un vaglio preliminare, in base ad un giudizio prognostico e probabilistico sulla base della fattispecie prospettata, sull’opportunità o meno di nominare un consulente tecnico d’ufficio che riesca a dirimere la controversia in maniera bonaria. Di converso, qualora il giudice non ritenga – perché altamente improbabile – che il consulente riesca a condurre le parti ad una conciliazione, potrà disattendere l’istanza della parte che ha promosso il procedimento ex art. 696-bis c.p.c.

In dipendenza di quanto sopra esposto, la riforma del 2017 ha esaltato la funzione conciliativa dell’istituto in analisi, perché l’osservanza del procedimento è condizione di procedibilità, il cui fine quello di risolvere la controversia senza una decisione giudiziale.

Ciò non toglie che il legislatore si sia preoccupato anche dell’eventualità in cui l’accordo non sia raggiunto, perché, come detto sopra, ha provveduto a disciplinare il raccordo con il successivo processo di cognizione.

Ad ogni modo, resta il fatto che il “filtro” in parola presenta ben pochi aspetti strettamente giudiziali, poiché soggetto deputato a tentare la conciliazione è il consulente, mentre il giudice interviene solo nel momento della nomina del consulente stesso e del conferimento di efficacia esecutiva del verbale di conciliazione. (https://www.questionegiustizia.it)

Francesco Sanna, Avvocato

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